“Tutti abbiamo la nostra quota di pazzia. La questione è come ci si convive. Alcuni ci riescono, più o meno bene, altri no. La gente viene da me per imparare a convivere con la propria pazzia. Anche se quasi nessuno ne è consapevole.”
La frase avrebbe dovuto fargli paura. Invece Roberto avvertì un inatteso senso di quiete. Come una cosa che si poteva accettare e che, affrontata, era molto meno brutta di come uno se la immaginava, nascosta in qualche sgabuzzino fetido della coscienza.
Roberto è un carabiniere, in congedo per malattia. Un appuntato l’ha trovato dietro la sua scrivania con la canna della pistola d’ordinanza in bocca, sul punto di premere il grilletto.
La sua vita, prima tutta azione e adrenalina, ora è sospesa, scandita solamente dagli appuntamenti con il suo psichiatra, punti fermi nella corrente dei pensieri e dei ricordi.
Durante la lettura scopriamo cosa l’ha portato sull’orlo del baratro, i passi che uno dopo l’altro l’hanno condotto alla disperazione, alla negazione della vita.
Mentre i ricordi si fanno sempre più duri, incagliati nella coscienza e difficili da sradicare, ci accorgiamo di due luci. Una, più forte, è il dottore, il faro che guida Roberto seduta dopo seduta; l’altra è un fuoco fatuo, flebile, sempre sul punto di spegnersi, ma altrettanto salvifico, ed è Emma, un’attrice, anche lei paziente nello stesso studio.
Inizialmente sono rimasta colpita da alcune analogie con il romanzo di Murakami, suggestioni più che temi: l’iniziale alternanza dei capitoli per narrare la storia di due diversi personaggi; la scelta del suicidio con un colpo di pistola in bocca, per arrivare dritti al cervello e non rischiare di sopravvivere; il padre di Tengo e il motto del quadro di Armstrong nello studio dello psichiatra: ci sono certe cose che non puoi capire se hai bisogno che ti vengano spiegate… Mi sono chiesta quali sono gli influssi comuni che possono portare due scrittori talmente diversi a creare delle immagini così fortemente simili.
Procedendo con la lettura sono però riuscita a distaccarmi dal romanzo precedente, ad apprezzare la scrittura asciutta e scarna di Carofiglio, la durezza con cui vengono presentati i fatti, quasi fossero atti presentati di fronte a un giudice.
I temi non sono certo allegri: si parla della difficoltà di vivere, dei traumi che dobbiamo affrontare nel corso della vita e che certe volte rischiano di affogarci. Ma alla fine il messaggio è di speranza: possiamo continuare a vivere nonostante le ferite, soprattutto quando ci rendiamo conto che sono inevitabili e connaturate alla stessa vita dell’uomo.
“Il silenzio dell’onda″ di Gianrico Carofiglio, edizioni Rizzoli Etas, uscito il 19/10/2011, prezzo 9,99 €, formato epub, pagg 143.
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