Non c’è spazio per la paura

In questi giorni strani, in cui il mondo attorno a noi si cristallizza e una alla volta vengono meno le nostre certezze, le nostre libertà, non trova spazio in me la paura. Anche se preme da tutti i fronti per entrare, per superare la barriera cellulare che mi avvolge, il nucleo resta intatto, integro.

La pandemia interessa tutto il mondo, eppure questa minaccia globale può essere vissuta solo in modo personale: c’è chi lavora strenuamente da settimane in ospedale o negli ambulatori, chi è costretto a stare a casa in quarantena, chi è obbligato a lavorare come sempre, addirittura di più. Di certo la libertà che pensavamo di avere si è rivelata fragile in una maniera insospettabile, dolorosa. I nostri ritmi vengono modificati, le nostre abitudini stravolte, ci aggrappiamo a brandelli di normalità per paura di perdere noi stessi.

Questa epidemia, i cui echi lontani avevano già iniziato a nutrire l’ansia di molti, si è mangiata il nostro futuro: l’incertezza e la precarietà sono i sentimenti che più di tutti ci accomunano. Ma anche se ci sentiamo confusi e frastornati, la voglia di reagire, di riprendere il controllo sulla nostra vita, si manifesta ogni giorno in maniera diversa: obbedendo ciecamente alle regole o disattendendole, credendosi superiori a esse; sentendosi invincibili o immensamente fragili; creando nuove forme di socialità o isolandosi; esprimendo scelte quando sembra che scelte non ce ne siano rimaste.

In queste settimane ho sperimentato, nell’ordine, la negazione del problema, una sensazione di panico diffusa e infine la rimozione. Di certo trovarmi con la scuola di mia figlia chiusa, una scadenza fondamentale a lavoro che richiede tutto il mio tempo e concentrazione, mi ha aiutato a fare finta che il problema non mi riguardi, solo una difficoltà in più da affrontare ogni giorno per arrivare a sera. Mi chiedo come starei se fossi costretta a restare chiusa in casa da settimane, come cambierebbe il mio stato d’animo, il mio modo di ragionare. Io sono un animale sociale: mi nutro di relazioni, di parole scritte, di immagini condivise. Ma sento forte anche il contatto con la terra: la primavera che brulica è una sirena il cui canto mi seduce e mi fermo a guardare ogni fiore, ogni ramo, ogni gatto che passa. Non posso permettermi di abbandonarmi alla disperazione, al panico: non saprei come uscirne. E allora evito ogni notizia maligna, triste, realistica; scorro alla ricerca di stralci di bellezza; cerco il buffo, il tenero, l’amore. La mia armatura è fatta di affetto, sorrisi e parole care che rimbalzano da una casa all’altra, da una nazione all’altra; è il mio nipotino che ha spento la sua prima candelina mentre noi gli cantavamo tanti auguri in videochiamata; è la mia cara amica che ha dovuto partorire da sola lontana da qui ma a cui abbiamo tenuto la mano per giorni, in una catena di messaggi di affetto; è mia figlia che si aggrappa alla gatta in cerca di un’amicizia bambina e ogni giorno ci stringe con infinito amore; sono le chiacchiere con le amiche e gli amici scrittori, in cui si fa a gara per strappare un sorriso o portare una notizia felice; è mia madre che fa della sua serenità una roccia a cui appoggiarsi nei momenti di stanchezza; è leggere un post su facebook di una scrittrice che ammiri che ti tocca nel profondo; è trovare in un libro le montagne che ami; è ascoltare una musica nuova che ti porta lontano; è scoprire che sì, la vita è più difficile, ma puoi trovare ancora qualcosa di prezioso ogni giorno, basta cercare, basta pretenderlo, basta non arrendersi.

L’epidemia finirà, la quarantena anche, inizierà una normalità, forse diversa da quella a cui eravamo abituati, ma sta a noi decidere come reagire, cosa trattenere di questi giorni e cosa lasciare andare via, lontano.

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