
In questi mesi ho tralasciato il blog, fedele alla mia discontinuità. Questo non significa che non abbia letto, anzi, ho letto tanto e bene. Piuttosto non ne ho scritto qui e ho tenuto da parte le molte considerazioni disordinate.
In questi ultimi giorni anche le letture si sono fatte discontinue: racconti sparsi, libri fermi, riletture. La mente annaspa, alle prese con contingenze pratiche impellenti, gestione e organizzazione della sacra triade casa-scuola-lavoro, imprevisti e accidenti che solo l’inizio dell’anno settembrino sa regalare. Poi ci si avvia, lentamente.
Di bello in questi mesi ci sono state tante cose, oltre ai bei libri.
Le persone, soprattutto, perché poter rivedere gli amici e gli affetti, anche senza gli abbracci (che mi mancano terribilmente, come tutta quella comunicazione fatta di gesti, di sfioramenti, di strette, che tanto aggiunge alle parole, alle emozioni), guardarli negli occhi, condividere tempo e spazio, mi ha riempito il cuore.
Lo spazio aperto, subito dopo, poter vedere posti nuovi, sentire il sole, la pioggia, il vento, anche il caldo, avvertire di far parte dell’ambiente, anche solo se di passaggio, il mondo esterno, a lungo negato, compresso, ristretto, e di nuovo esploso intorno.
Le presentazioni dei libri, le mostre, per riempire questa testa vuota di nuove idee, stimoli, domande.
Non è la prima volta che ho dovuto rinunciare a tutto questo. Non è la prima volta che torno a immergermi nella vita, apprezzando in maniera inebriante le sfumature, i dettagli. Ma era sempre stata un’esperienza solitaria finora, come l’ansia che arriva a bloccarti in casa, o confinata al più al piccolo nucleo famigliare: una malattia lunga, un neonato da accudire, un periodo totalizzante di lavoro. Forse perché ne avevo già sofferto e ne porto addosso i segni, ho ancora più sete di vita, e mi consumo. Ho messo da parte i no, per poterli usare quando servono davvero, ho imparato a dire sì prima di sentire la paura che morde le caviglie.
Mi riempio gli occhi di cielo perché quando il tuo orizzonte è rimasto limitato a lungo, lo spazio non è mai abbastanza. Ho voglia di sfide, di nuove avventure, di innamorarmi di progetti e idee. Ho scoperto la necessità di muovermi, dopo essere stata ferma a lungo, ed ecco che ho iniziato a correre, ho preso finalmente una bicicletta, dopo più di un anno dal furto subito. Mi piace la sensazione di fatica fisica, costante ma non troppo intensa, ascoltare il corpo rispondere, tendersi ed estendersi.
C’è anche una componente di paura in tutto questo: paura di rimanere bloccata (un piede, la schiena, un nuovo D.P.C.M.), paura di perdere la libertà (di muoversi, di pensare, di provare sentimenti). Non è più sufficiente calarsi nella lettura di un romanzo, o scriverlo: ho fame di vita. E questa inquietudine si calma solo all’aria aperta, all’ombra degli alberi. Gli alberi sono la mia nuova ossessione, io che non so distinguere un pino da un abete, gli alberi e l’acqua, per la precisione, perché i laghi restano la coppa perfetta in cui versare il mio spirito. Magari un giorno diventerò un’anguana e veglierò sulla mia fonte immersa nel bosco o sarò un sasso sul fondo di un lago alpino, perso a guardare il cielo.

Rieccomi! A proposito di bei libri, leggi questo romanzo, è di una bellezza indimenticabile: https://wwayne.wordpress.com/2020/08/23/un-sogno-da-realizzare/
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