E tutt’intorno il mare. Di Dominique Fortier

Mi capita sempre più spesso di imbattermi in narrazioni ibride, nelle quali saggio, autofiction e romanzo si intrecciano: in Nanga Parbat di Orso Tosco, in Nella casa dei tuoi sogni di Maria Machado, in Mal di casa di Caterina Davies, giusto per elencare i primi che mi vengono in mente.

Dominique Fortier non è nuova a questa tecnica, già apprezzata in Le città di carta, di cui avevo scritto ancora a fine 2020 e che mi aveva colpito molto, sia per la scrittura sia per la delicatezza con cui tratteggiava un originale ritratto di Emily Dickinson.

In E tutt’intorno il mare, Fortier ci conduce a Mont Saint Michel, la famosa isola francese su cui sorge un’antica abbazia, sospesa tra cielo e mare.

La narrazione procede lungo due piani temporali.

Il primo ci introduce all’abbazia attuale, con tutti i suoi rimaneggiamenti e ancora incompiuta, e su questo livello si innestano le riflessioni dell’autrice, i riferimenti storici, le analisi linguistiche. È anche il luogo in cui sono custoditi i brevi accenni alla nascita della figlia dell’autrice, alla conseguente difficoltà a riappropriarsi dell’atto della scrittura e come la costruzione del desiderio irrinunciabile della letteratura abbia radici strettamente legata proprio a Saint Michel, l’isola dei libri.

Il secondo piano temporale è invece il tempo del romanzo. Seguiamo i giorni di un pittore, un bravissimo ritrattista, che in seguito alla perdita dell’amata cade in una prostrazione profonda. Lo soccorre un caro amico, che lo conduce con sé all’abbazia di Mont Saint Michel. Attraverso il suo sguardo osserviamo la vita dei frati, percorriamo i corridoi, visitiamo il giardino e la famosa biblioteca, ormai in decadenza e assediata dalla natura e dall’uomo.

Il risultato però mi pareva strano, a me che non sono avvezzo alla scrittura: i nuovi caratteri tracciati con l’inchiostro nero si alternavano a righe quasi invisibili ma il cui pallore le rendeva ancora più presenti. Ed è vero che per distinguerle occorreva un’attenzione ancora più grande di quella necessaria per seguire le righe nuove, che saltavano agli occhi. Le une e le altre finivano per intrecciarsi, di modo che i due testi, in teoria estranei tra loro, sembravano formare un tutt’uno.

In entrambi, una perdita d’identità separa scrittrice e pittore dal proprio lavoro, la loro grande passione, e la riconquista sarà un percorso accidentato, fatto di lunghe deviazioni e apparenti sospensioni.

La scrittura di Dominique Fortier è impregnata di poesia: lo si vede nella scelta del lessico, nella pulizia della frase, nelle pennellate evocative che fanno sentire prima di capire. Grazie alla traduzione, si sente anche nel ritmo, nel colore della pagina.

Questo romanzo è precedente alle città di carta, ed è altrettanto incantevole. Senza accorgersi, la storia si srotola davanti ai nostri occhi e la bellezza della costruzione è simile a quella dell’abbazia, i cui i pilastri sottili e innervati, servono solo a incorniciare la luce, il cielo, il mare.

Il figlio del figlio imparò osservando i gesti del padre, ma soprattutto guardando le nuvole. Se costruiva con la pietra, era soltanto perché non aveva trovato come tagliare blocchi di cielo. In verità, però, non edificava con la pietra, piuttosto costruiva tra le pietre. Sotto la croce dalle braccia aperte come il pennone di un albero di trinchetto, le pietre servivano solo a incorniciare l’essenziale: la luce, che si riversava in ondate dorate nella navata, al contempo chiesa e nave.

E tutt’intorno il mare (2015) di Dominique Fortier (Canada, 1972). Traduzione di Camilla Diez. Alter Ego edizioni, Collana Specchi, 2015, pagine 177.

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