Buio padre – Michele Vaccari

Uscito da poco per Marsilio editore, Buio Padre si presenta di difficile catalogazione. Potrebbe venire voglia di inserirlo tra i romanzi di formazione, oppure tra i gotici dalle tinte horror, ma starebbe bene pure tra le fiabe italiane di Calvino anche se perderemmo di vista l’aspetto politico, la forte componente anarchica, il surreale.

Le suggestioni insomma sono tante, per quest’opera che a me ha ricordato da una parte IT di Stephen King (ragazzi che lottano contro un’entità malvagia legata indissolubilmente al territorio – lì Derry, qui Crinale), dall’altra i film Goonies (gli scarti che salvano il loro paese dopo un’emozionante caccia al tesoro sotterranea) e Stand by me (ancora ragazzi, ancora Stephen King).

[…]È stato allora che hanno iniziato ad aiutarsi a vicenda, a sentire che essere un gruppo era un più assoluto, ed è su questo tratto di mondo, su questa striscia artificiale di catrame e fracasso di automobili, che la loro conoscenza, in quei pochi minuti di pollice alzato, è diventata una concreta possibilità di amicizia.

C’è una certa epicità anni Ottanta in un romanzo che, per il resto, usa perfettamente il linguaggio del nostro tempo, con riferimenti puntuali al lessico giovanile, alla scena musicale, al passato prossimo della pandemia.

Michele Vaccari mette in scena una storia avvincente, in grado di reggere per quattrocento pagine di puro godimento, con un’ottima padronanza del ritmo e una calibrazione attenta di svolte e climax. Sembra quasi di percepire il divertimento dell’autore, con qualche piccola punta di autocompiacimento, del tutto veniale.

Buio Padre segue le vicende di un gruppo di quattro giovani amici di Crinale, un paese dell’entroterra ligure, isolato e avviato a un lento spopolamento. Raul, Adamo e Dafne (detta Death) hanno organizzato una festa a sorpresa per Vinicio che, a causa della chiusura della segheria dove lavora il padre, il giorno dopo si trasferirà in città con i genitori.

[…] c’è solo da essere loro e basta, con quel paese, Crinale, a fare da sfondo ai loro azzardi di ragazzi, Crinale come ritrovo, punto di partenza e inevitabile traguardo, Crinale, per avere un luogo di cui lamentarsi e a cui sognare, un giorno, di dire addio, come di lì a qualche ora sarebbe successo a Vinicio – per tutti, specie per i tre fratelli che si è scelto, semplicemente Vinnie.

Il luogo prescelto per l’evento è una chiesa abbandonata, chiamata Pieve del Diavolo. Un nome legato a una storia passata di eventi tragici, la cui memoria è però estranea ai ragazzi. La notte stessa un’alluvione improvvisa si abbatte sulla Valle: una frana su Monte Buio fa precipitare enormi detriti e fango sul paese di Crinale e scopre una cavità nella montagna dalla quale sembra uscire un’antica maledizione.

Michele Vaccari riesce a far convivere il mondo reale, di tutti i giorni, con il fantastico, inserendo con precisione alchemica elementi di perturbante, echi di leggende e miti che parlano direttamente al nostro immaginario e lo riattivano.

Questo gioco di piani tra reale e immaginario permette all’autore di introdurre temi che gli sono a cuore e che diventano così elementi fondanti del racconto. L’irrazionale giovanile con la sua forza distruttiva e al tempo stesso generativa, il conflitto con il potere, lo spirito di rivolta, il rapporto tra generazioni, sono solo alcuni degli spunti di riflessione che galleggiano subito al di sopra dell’azione.

Uno degli aspetti che mi ha colpito durante la lettura è lo stile scelto dall’autore: roboante, enfatico, con un ritmo battente, incalzante. All’inizio l’ho trovato distante dai miei gusti (not my cup of tea, direi con Re Carlo), eppure il suo essere funzionale alla storia me l’ha reso confortevole, necessario per descrivere quei personaggi, quel luogo, quella storia.

La lingua ha un forte peso specifico: vengono utilizzati diversi registri, alcuni in maniera meno convincente come la parte narrata della storia della Pieve, altri in maniera incisiva e spesso divertente. Ho apprezzato molto come l’autore è riuscito a caratterizzare i giovani protagonisti, ragazzi di diciassette, diciotto anni: nei dialoghi sono gergali, eccessivi, sarcastici, in contrasto con la loro sfera di sentimenti complessa e ricca di chiaroscuri. Confesso di essermi sentita troppo adulta rispetto a loro e ho riconosciuto di contro nell’autore un’attenzione sincera verso il mondo dei più giovani. Anche nell’esagerazione non c’è mai la ridicolizzazione di un personaggio, quanto di un automatismo o di un gesto particolare.

Buio Padre è un romanzo che parla molto di relazioni, sia orizzontali, tra amici e coetanei, sia verticali, tra genitori e figli, tra adulti e giovani. Il buio è uno specchio in cui si riflettono le nostre parti più deboli, oscure: solo l’amicizia, legame mitico, può sopravvivere a questa prova, perché è già sopravvissuta al disagio, all’amarezza, allo sconforto, all’equivoco. Gli adulti invece, anche quando sono in una relazione, sono soli, vittime dei loro compromessi, delle loro debolezze nascoste, delle paure che li rendono fragili e manipolabili.

È il futuro che soppianta il passato, in questa presa di scena dei figli, chiamati a salvare le loro famiglie, il loro paese, la loro amicizia. E a noi padri non resta che cedere il passo.

Buio Padre (2023) di Michele Vaccari (Genova, 1980), Marsilio editore, collana Farfalle, 381 pagine, romanzo.

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