Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh

Copertina neoclassica, un ritratto della cerchia di Jacques-Louis David, una giovane donna dall’aria pensierosa guarda di sbieco, fuori dalla cornice, qualcosa che possiamo solo immaginare. Vestita di bianco, i capelli sembrano fuggire dall’acconciatura, le spalle sono cadenti, il seno appena velato da un tessuto dalla trama leggera. Il titolo è evocativo, sembra un verso di qualche opera teatrale e, forse più di qualcuno, sarà stato sviato da questa combinazione elegante dal sapore di fine Settecento.

Il mio anno di riposo e oblio è invece un romanzo pubblicato nel 2018 e ambientato a New York agli inizi del nuovo millennio, con le Twin Towers che si stagliano ancora sullo skyline della città.

Della metropoli descritta da Bret Easton Ellis in American Psycho, mia lettura precedente a questa, mancano gli hippie e la violenza, restano invece la superficialità, la difficoltà di comunicare e il disagio mentale, elementi che sembrano intrinsechi di un luogo in cui si raggrumano ambizioni e desideri.

La protagonista è una giovane wasp, ricca, bianca, colta, magra e biondissima. Lavora in una galleria d’arte ma non ha bisogno di uno stipendio: alla morte dei genitori ha ereditato abbastanza per non dovere fare nulla. Le basi per il successo e la felicità ci sono tutte, pensiamo noi, e invece no. La nostra narratrice, di cui non sapremo mai il nome, è sopraffatta dalla vita. Il suo unico desiderio è sopprimere ogni pensiero, ogni emozione e dormire ininterrottamente, nella speranza di potersi svegliare nuova al mondo, pulita da ogni scoria.

Forse è capitato anche a voi, in periodi di forte stress, di essere catatonici, vittime di un sonno che vi aggredisce non appena vi fermate. Di fronte a un trauma, a una fatica che non ci sentiamo in grado di affrontare, a una consapevolezza troppo ingombrante da ingoiare, il nostro sistema entra in modalità di riposo, congela ogni funzione non vitale, elabora i dati, in attesa di riavviarsi o spegnersi del tutto.

La nostra protagonista passa gran parte della sua giornata a dormire e a guardare vecchi film in videocassetta. I suoi eroi sono Harrison Ford e Whoopi Goldberg. Si nutre di caffè e salatini a forma di animale. Ma non le basta. Vuole dormire di più, vuole prendersi un anno di riposo e oblio. Cosa vuole dimenticare? Da cosa fugge?

Reva era come le pasticche che prendevo. Trasformavano tutto, persino l’odio, persino l’amore, in lanugine che potevo soffiare via. Ed era esattamente quello che volevo – le mie emozioni che passano come fari che brillano rapidi attraverso una finestra, mi superavano illuminando qualcosa di vagamente familiare, poi svanivano e mi lasciavano di nuovo nel buio.

La sua voce non è mai patetica, piuttosto auto ironica, a tratti sprezzante quando giudica la sua unica amica Reva o il circo dell’arte in cui si è trovata suo malgrado. Guarda con condiscendenza anche alla dottoressa Tuttle, la psichiatra che ha trovato sull’elenco telefonico e che, completamente disconnessa dal suo ruolo, le prescrive qualsiasi tipo di medicinale e crede a tutto quello che le viene detto, tanto poi lo dimenticherà regolarmente alla seduta successiva, con una leggerezza disarmante.

Il mio anno di riposo e oblio è un romanzo capace di infondere fastidio e tenerezza. Ci fa conoscere personaggi scorretti, antipatici, egoisti e ne mostra le fragilità, le contraddizioni. Come quelle persone che a pelle trovi insopportabili e alle quali poi non puoi fare a meno di affezionarti. Non a tutte però, Trevor devo dire che rimane intollerabile dall’inizio alla fine, l’ex fidanzato lupo di Wall Street del tutto incapace del pur minimo gesto di empatia.

La scrittura mi ha ricordato molto Ellis, sia per i dialoghi, sia per l’attenzione maniacale ai dettagli, alle marche, ai farmaci; la descrizione minuziosa di un mondo e delle sue ombre. La tristezza è soffocata dall’ironia, dal sarcasmo. I mesi passano e dal 2000 al 2001 aumentano le ore di sonno, arrivano black out della mente, intere giornate perse eppure vissute, prima in giro per la città, poi nel chiuso di un appartamento svuotato. Fino ad arrivare a giugno e infine a settembre e chiudere con una caduta, un tuffo a occhi aperti.

American Psycho di Bret Easton Ellis

Leggere capolavori di questo livello nuoce gravemente all’autostima di chi vorrebbe scrivere, soprattutto quando l’abilità narrativa e stilistica dell’autore sono al servizio di una storia e di una voce potenti.

American Psycho è un romanzo di denuncia di un mondo, quello degli yuppie anni Novanta, superficiale e dedito a un edonismo annoiato e amorale. Patrick Bateman è un ricco figlio di papà, educato nelle migliori scuole, AD di una delle imprese finanziarie di famiglia. Bello, elegante e schiavo di questa bellezza ed eleganza alle quali dedica una cura maniacale, passa le sue giornate tra lavoro (poco), palestra, ristoranti di lusso, alcol, droga e belle donne. Si muove in una New York frenetica, punteggiata di emarginati e cartelloni di spettacoli teatrali – il musical Les Miserables insiste sulle pagine come una nota battuta. Il suo è un mondo dorato di cui conosce le regole e nel quale è considerato il classico bravo ragazzo, dall’abbronzatura perfetta ed esperto di stile: a lui puoi chiedere come abbinare un paio di calzini, se il gilet è ancora di moda, come indossare un fermacravatta.

I primi capitoli ci proiettano in un eterno giorno della marmotta, dove tutti sono interscambiabili, nessuno ti ascolta davvero, conversazioni futili e uguali a se stesse si ripetono in locali sempre nuovi, dove scorrono abiti di lusso, piatti elaborati, corpoduro, cocaina e alcol. Bateman è quasi ridicolo nella sua incapacità di comunicare, nel suo essere costantemente travisato, nella continua frustrazione dei suoi desideri (prenotare un tavolo al Dorsia!), nella sua insicurezza rispetto a un aspetto esteriore che per lui è l’unico mezzo per rapportarsi agli altri, solo valore insieme ai soldi. Farebbe quasi pena se non fosse che le iniziali crisi di rabbia, la totale mancanza di empatia, il disprezzo per i barboni, lo snobismo spinto sono solo l’anticamera di una personalità folle.

Christian Bale interpreta Patrick Bateman nella trasposizione cinematografica del romanzo (2000).

“È il ragazzo della porta accanto, non è vero tesoro?

– No che non lo sono, – bisbiglio tra me. – Sono un malvagio psicopatico, io, cazzo.”

La bravura di Ellis è infatti quella di introdurre l’orrore gradualmente, di inserire elementi stridenti per poi annegarli in un mare di noia e dettagli, portandoci sempre più a fondo in una pazzia che a tratti è così disturbante da pregiudicare il prosieguio della lettura. Pat Bateman non si limita a uccidere le sue vittime: le tortura, le strazia, fa scempio dei loro corpi, come se dentro le loro viscere cercasse un significato a una vita che non ne ha nessuno. Assistiamo a un crescendo di maniacalità che si trasferisce dagli oggetti feticcio (i vestiti, ma anche i mobili e soprattutto gli apparecchi tecnologici) a parti anatomiche delle vittime, che vengono estratte, collezionate, trasformate in nuovo bene di lusso, esclusivo.

Il romanzo, ricchissimo di dialoghi, è narrato al presente in prima persona, dal punto di vista del protagonista che, verso la fine, sembra rivolgersi a un voi che potremmo essere noi lettori, ma anche tutto il resto del mondo dal quale lui si sente escluso. Nel capitolo “Chase, Manhattan” che è un capolavoro di azione, al culmine del delirio psicotico, la voce narrante parla per alcuni paragrafi di Bateman in terza persona, come se ci fosse infine stato uno scollamento tra due entità distinte, salvo poi riunirle quando cala la tensione massima.

American Psycho è un romanzo disturbante, eccessivo in ogni dettaglio, che sia la descrizione di uno stereo ultimo modello (e tre capitoli sono interamente dedicati alla musica degli anni Novanta – Genesis, Whitney Houston, Huey Lewis and the News) oppure il modo in cui Bateman tortura, squarta e poi uccide le sue vittime. A volte con metodi o esiti che hanno del ridicolo.

L’opera di Bret Easton Ellis è anche la rappresentazione di un odio e di un disprezzo profondi verso le donne, gli omosessuali, i poveri. Eppure il fatto che Bateman, che ha tutto, sia alla fine un perdente, il continuo black humour che è in grado di alleggerire anche i particolari più splatter, i ritratti brillanti dei vari tipi umani e delle loro miserie, ne fanno una lettura godibilissima, a tratti spassosa, lasciando così penetrare più a fondo le radici di un romanzo complesso e terribilmente affascinante.

Mal di casa di Catrina Davies

L’economia e l’ecologia sono due facce della stessa medaglia. La giustizia sociale dipende da un ecosistema sano.

Mal di casa – perché vivo in un capanno, è il memoir di Catrina Davies, una cantautrice gallese che dopo un’infanzia idilliaca a contatto con la natura della Cornovaglia, si trova sradicata per colpa della crisi abitativa che ha colpito l’Inghilterra e che ha portato suo padre alla bancarotta e sua madre alla depressione. Stanca di sopravvivere in un ripostiglio in subaffitto a Bristol, ossessionata dalla mancanza di soldi e di un luogo che possa chiamare casa, Davies molla tutto e si trasferisce in un vecchio capanno fatiscente vicino all’oceano che suo padre usava come studio.

Ero consapevole che, vista dall’esterno, la mia vita nel capanno sembrasse bizzarra e disperata, soprattutto all’inizio, quando il capanno era un pugno in un occhio, talmente derelitto che pareva sul punto di collassare. Ma per me viverci era qualcosa di assai meno disperato rispetto alle mie vite precedenti in tende e caravan parcheggiati su terreni altrui, o in stanze in affitto dal costo esorbitante. Mi piacevano la luce e la solitudine, mi piaceva trascorrere la maggior parte del tempo all’aperto, adattare il mio comportamento alla forza del vento o alla rigidità del freddo, come i passeri che si nascondevano nel prugnolo spinoso e uscivano cantando con il sole. Ho scambiato frigoriferi e termosifoni con la libertà, e sebbene il mio stile di vita mi abbia posto delle sfide, sono arrivata alla conclusione che la libertà valga qualsiasi privazione materiale.

Il romanzo, pubblicato da Atlantide edizioni nella collana Blu nel 2020, si articola in brevi capitoli in cui Catrina parte dalla sua esperienza personale per raccontare una crisi sociale che tocca molti di noi.

Lo stile è frammentario: si basa sulla narrazione di un tempo recente (il primo anno in cui Catrina ha iniziato a vivere in maniera abusiva nel capanno) e si ramifica in ricordi della sua vita passata, analisi linguistiche su termini che l’autrice ritiene significativi, riferimenti a saggi e dati ufficiali per avvalorare la sua interpretazione della realtà. Non mancano numerosi riferimenti letterari, soprattutto a Thoreau, che con il suo Walden, vita nei boschi, si rivela ancora attuale e con cui diventa impossibile non confrontarsi.

Mentre leggevo questo saggio/memoir, non ho potuto fare a meno di ricollegarlo a Il grande marinaio, romanzo di Catherine Poulaine, e La strada alla fine del mondo di Erin McKittrick. In tutte e tre le opere, raccontate in prima persona, l’esperienza personale forte, a contatto con una natura selvaggia e indomita, è l’occasione per tre donne molto diverse per riflettere sulla propria crisi personale e cercare di darle una interpretazione. Sono resoconti di vita, hanno uno spunto diaristico, ma la riflessione porta a esiti diversi. Per Davies diventa un manifesto sociale, la condanna di un sistema economico squilibrato che si riflette soprattutto sulla crisi delle case, troppo onerose per la maggior parte degli abitanti e spesso vuote perché è più redditizio affittarle come case vacanza. Per Poulaine invece si apre uno scenario più poetico, intimistico, anche violento, mentre per McKittrick l’accento è soprattutto sulla questione ecologica. Per tutte la Natura diventa il banco di prova della propria esistenza, la possibile legittimazione quando tutto il resto non funziona. È una madre severa e distante, che non si cura dei suoi figli ma solo perché i suoi tempi sono diversi rispetto ai nostri. Sta a noi ridimensionare il nostro ruolo e capire che siamo parte di un ingranaggio meraviglioso e complesso. Sempre l’avidità è nemica, sempre la forza che troviamo in noi non è sufficiente: siamo animali sociali e il confronto e il supporto dei nostri simili sono necessari.

Leggere questo romanzo ha significato mettermi in una posizione scomoda: la paura di restare al verde, che per me è un fantasma vago ma terrorizzante, per l’autrice è una realtà che la porta a grandi privazioni ma anche a scelte fondamentali. La sua coscienza sociale ed ecologica è molto forte, mentre io sono una privilegiata, consapevole della situazione ma senza un ruolo attivo in prima persona per portare un cambiamento. La sua forza fisica, l’abitudine a surfare, il rapporto con la natura, la capacità di sopravvivere senza bagno, corrente, riscaldamento… Ecco, io sono molto affezionata alle mie comodità e non sono sicura che saprei rinunciarci in nome di qualche principio astratto. In certi passaggi forse ho trovato l’autrice un po’ troppo indulgente con se stessa, critica solo in apparenza. È il rischio di scrivere un libro per sostenere una tesi, senza contraddittorio. Quando poi l’oggetto che viene studiato è anche quello che compie l’osservazione, diventa impossibile mantenere la giusta obiettività.

Pur con queste sbavature, Mal di casa (Homesick nel titolo originale) offre uno spaccato davvero interessante sulla crisi sociale in Inghilterra e pone le basi per riflessioni importanti sul ruolo dell’economia e della politica per gestire un sistema sempre più vicino al collasso.

Mal di casa. Perché vivo in un capanno. Catrina Davies. Traduzione di Paola De Angelis. Atlantide edizioni. 2020.

15 recensioni brevissime dal 2022

Ultime ore prima del cambio data e al posto della classifica dei libri letti quest’anno (al momento sono a quarantuno tra romanzi, racconti e graphic novel), mi fa piacere ripercorrere a ritroso alcune delle letture della seconda parte del 2022, quelle in particolare che mi hanno ispirato in questi mesi delle mini recensioni, fatte di impressioni e appunti di lettura e che ho iniziato a raccogliere su instagram, in una sezione distaccata della casa madre che è questo blog.

L’elenco dettagliato, come sempre, ha la sua pagina dedicata. Ci sono titoli, copertine, edizioni, date, traduttori, numeri di pagine ed eventuali recensioni lunghe (poche quest’anno per la verità).

Per il 2022 lo potete trovare qui: https://diarialaskani.wordpress.com/letture-2022

Le micro recensioni sono invece le seguenti:

Storie assassine di Bernard Quiriny.

Raccolta di racconti e frammenti in cui dominano ironia e tendenza al surreale.

Una lettura davvero piacevole e ricca di suggestioni. Quiriny parte da un inciampo interpretativo, da uno scostamento della realtà, per creare piccoli gingilli letterari.

Tra i racconti che mi sono piaciuti di più ci sono Azzurrarsi d’amore, L’occhio di pavone, Severo ma giusto, La parola alle cose.

Interessanti anche Il corpo mi abbandona che mi ha ricordato Poe, il nuovo Landru, e la serie del giro di Amazzonia.

Dilemmi filosofici, la pulsione erotica e la critica letteraria sono temi ricorrenti, come il gusto per la chiusura arguta.

Un autore che non conoscevo e che ho intenzione di leggere ancora, suggerito dall’impareggiabile Barbara del mio cuore (libraia alla Zabarella).

Mandibula di Monica Ojeda.

Il bianco e il rosso dominano questo romanzo ipertrofico, ricco di temi e suggestioni che si intersecano come le radici delle mangrovie.

Il romanzo si apre con Fernanda, una sedicenne che frequenta un istituto femminile cattolico, rapita e tenuta prigioniera dalla sua insegnante di lettere, Clara.

Ojeda ci accompagna in un viaggio che esplora i rapporti femminili, spesso violenti e animaleschi, tra madri e figlie, insegnanti e allieve, amiche e amanti. La fantasia e i sensi si infiammano nell’umido clima ecuadoreño, tra coccodrilli e vulcani, lusso e povertà.

Il culto del dio bianco, di cui è inventrice e sacerdotessa Annelise, ossessiona e terrorizza il gruppo di amiche, compagne di classe, che si trovano i pomeriggi in un edificio abbandonato per vincere la noia con sfide fisiche e racconti creepypasta (racconti dell’orrore che non hanno tradizione orale ma nella rete e si ripetono con infinite variazioni).

Fernanda è la gemella d’ossa di Annelise, la sua amica del cuore. Con lei perfeziona il culto del dio bianco, compie riti di sangue la cui perversione e sensualità cresce fino a turbarla e a volersi allontanare da lei. Ma tutto ha un prezzo.

L’adolescenza ci appare tra queste pagine in tutta la sua spaventosa bellezza. La ferocia, che non può essere addomesticata dagli adulti, lasciata a se stessa si nutre di paure e riti d’iniziazione, stringe legami forti come la mandibola del coccodrillo e altrettanto pericolosi.

Non c’è nulla di rassicurante in questo mondo, nemmeno il bianco, che nella sua assolutezza è il principio e la fine di tutto.

La grande crociata di Theo Szczepanzki.

Da qualche tempo la Neo edizioni ha affiancato alle sue collane storiche di romanzi e poesia un nuovo progetto legato ai fumetti o graphic novel.

La grande crociata parte dai pochi dati storici e le molte leggende nate attorno alla Crociata dei bambini (puer) per condurci in un viaggio dantesco in cui diventa difficile distinguere la fede cieca dall’ossessione, il divino dal demoniaco.

Il tratto e l’uso del colore di Szczepanzki, pur mantenendo la loro riconoscibilità, cambiano spessore e tonalità di pagina in pagina, aggiungendo un ulteriore livello di comunicazione oltre alle tavole e ai testi.

Notevole anche il lettering, curatissimo, che suggerisce nuove interpretazioni sonore e di significato.

Un viaggio folle e allucinato, da cui è impossibile staccarsi e non farsi turbare. In pieno stile Neo.

Pornografia di Witold Gombrowicz

Gombrowicz è stato il più grande autore polacco del Novecento e la densità di questo romanzo lo dimostra.

Diviso in due parti, narrato in prima persona, ci conduce nelle campagne polacche durante la seconda guerra i cui echi suonano come bassi tamburi di accompagnamento.

È la storia di due uomini maturi, Witold e Federico, due non meglio precisati intellettuali, travolti dal fascino della giovinezza di due ragazzi, Enrichetta e Carlo, amici d’infanzia e estranei alla passione .

La noia, la volontà di governare la Natura, l’ossessione per lo sguardo sulla giovinezza (pornografia è il voler guardare qualcosa che non dovremmo vedere) portano i due adulti a farsi registi della vita dei due ragazzi, cercando di portarli su un piano sensuale e arrivando a contaminare la loro bellezza con il peccato dell’omicidio.

La scrittura di Gombrowicz è espressionista, tende alla paratassi, è generosa di punteggiatura e si apre in descrizioni vivide di paesaggi, gesti, relazioni.

L’autore costruisce fin dalle prime pagine la sensazione di tragedia imminente e mantiene la tensione con continui scarti della trama e dei personaggi.

Una lettura complessa e affascinante, che sfida il lettore e lo conduce attraverso ardite architetture di pensiero e bassi istinti umani.

Medusa di Martine Desjardins

Romanzo gotico, inquietante e disturbante.

Seguiamo il racconto di Medusa, una giovane donna dallo sguardo sconvolgente che nessuno può fissare senza inorridire.

Ripudiata dalla famiglia, accolta in un asylum per ragazze deformi, vive la sua esistenza nella vergogna per le sue oscenità, quegli occhi che sono una maledizione ma anche una benedizione.

Schiacciata dalla vergogna, vessata dalla direttrice e dai benefattori, cresce con la sola consolazione della lettura finché una progressiva consapevolezza non la porta alla libertà.

Il racconto è portato avanti in maniera brillante (anche se a volte risulta un po’ ripetitivo nello schema) e si regge su numerosi colpi di scena che si infittiscono verso il finale.

Desjardins usa una raffinata favola gotica per farci riflettere sull’oppressione femminile, sull’imperativo della perfezione dei corpi, sul peso della vergogna e sul rapporto tra dolore e piacere.

Il tutto senza risparmiare particolari inquietanti e con grande attenzione al linguaggio e all’uso del mito.

Una lettura perfetta per la notte più lugubre dell’anno.

Paranoia di Shirley Jackson

Continua il recupero delle letture arretrate. Questa volta tocca a questa raccolta di Shirley Jackson, presa sull’onda dell’entusiasmo dopo la lettura di Abbiamo sempre vissuto nel castello. Si tratta di una raccolta di scritti inediti postumi, pubblicati dai figli che hanno scelto tra l’ampio archivio lasciato dalla madre.

Ci sono racconti, saggi, articoli a tema letterario e biografico.

L’aspetto più interessante che emerge è la grande ironia dell’autrice e la sua capacità di rendere letterari anche alcuni aspetti della sua vita di madre di quattro figli e padrona di una casa di diciotto stanze senza domestica. Ho riso di cuore e mi sono consolata sapendo che non sono la sola a dovermi ingegnare per trovare il modo di scrivere, leggere e fare tutto il resto che la mia vita richiede. Certo, è un paragone molto azzardato ma tanto, rimane tra noi 🙂.

A misura d’uomo di Roberto Camurri

Continua il recupero delle letture con l’esordio di Camurri. Di suo avevo letto alcuni racconti ed ero curiosa di approcciare la sua scrittura.

Il ritmo è simile alla risacca del mare, ipnotico e disteso. Il dolore è stemperato, sempre presente sullo sfondo, come se fosse impastato alla terra di quella campagna che circonda Fabbrico e si distende fino alle colline, che poi si fanno montagna e si buttano a mare.

Ci sono relazioni, intrecci, piccoli movimenti che si fanno coro.
Resta un languore che è parte nostalgia, parte sconfitta, parte vita.

Finzioni di Jorge Luis Borges

È difficile aggiungere qualcosa quando ci si trova davanti a un’opera letteraria così complessa e perfetta nella sua interezza.

Sembra quasi di farle torto mentre i pensieri turbinano attraverso specchi, labirinti, libri immaginati, avversari, fingimenti.

La scelta più sensata sarebbe quella di riprendere la lettura da capo. Scavare, riflettere e poi abbandonarsi al sogno, all’inganno.

Qualche settimana fa sono stata in un labirinto, intriso dello spirito di Borges. Tanto è stata forte quella suggestione che, a distanza di quasi vent’anni dall’Aleph, ho ripreso in mano questi racconti suoi, che mi attendevano come una piccola riserva aurea.

È stato un bellissimo viaggio e cercherò di mantenere viva la sua eco il più a lungo possibile.

I libri di Keller editore sono sempre piccoli gioielli intrisi di una bellezza dolente.

Bottigliette di Sophie Van Llwin non fa eccezione, con una storia che ci accompagna nella vita di Alina, dagli anni Settanta nella Romania di Ceausescu alla caduta del regime.

Il filo narrativo cambia voce e forma, avvolgendosi attorno alla figura di questa donna, stretta tra concretezza comunista e spiriti romeni, in rapporti familiari opprimenti e vischiosi, con una tensione inestinguibile alla libertà e all’autoaffermazione.

La lingua incanta e come sotto una malia le pagine scorrono veloci.
Un romanzo davvero unico. Da recuperare.

[…] la pena era passata da un corpo all’altro, perché così aveva deciso Matteo. Nessun altro animale era in grado di scegliere la sofferenza, il peccato e la perdizione, per qualcosa di così inutile come l’amore.

La passione secondo Matteo. Paolo Zardi. Neo edizioni.

Un romanzo del 2017 in cui Zardi continua la sua ricerca di cosa ci rende umani.

Ci sono molti temi tipici dell’autore: il gusto del grottesco, il lavoro come esperienza in grado di distruggere l’umanità delle persone, il rovesciamento dei valori per metterne in luce l’ipocrisia e cercarne il significato più profondo.

Mi hanno colpito poi gli stretti legami con il presente: l’ambientazione di una parte del romanzo in Ucraina e il tema dell’eutanasia.

Come sempre Zardi ci porta con gentilezza ma in modo implacabile a riflettere su temi scomodi, senza sottrarsi all’esprimere la sua opinione.

A volte le letture seguono solo l’istinto e sono allo stesso tempo il risultato di indizi raccolti per strada e messi in tasca.

A volte seguono un filo logico che puoi ricostruire a posteriori. E così facendo non potrebbe essere solo una forzatura del pensiero?

Calipso di Alice Berti è capitato così e non poteva essere altrimenti.

Lei è un’autrice carinissima che ho iniziato a seguire per caso tempo fa. Piccoli innamoramenti social.

Poi sabato, di fronte a un muro di graphic novel, Calipso mi ha chiamato e mi sono ricordata di lei.

Il tratto personale, i colori caldi, invasi dal caramello, la storia trascinante.

Non – solo – una storia di spionaggio. Non – solo – una storia d’amore.

Ci sono temi di attualità urgenti che sento anche miei. Ci sono domande che forse non hanno risposta sull’amore, sull’identità, sul futuro. C’è quel miscuglio di emozioni contrastanti e forti che destabilizza ma è allo stesso tempo ricchezza.

Ancora una volta mi trovo a pensare come il disegno unito al testo possa arrivare più in profondità al nucleo delle cose. È un colpo di pistola.
Il romanzo invece è una lenta immersione.

Credo di amare entrambe le forme.
Mi sento fortunata.

Giornate di ferie completamente assorbite dalla mia bambina. Ma ogni momento è buono per leggere qualche pagina di questo bel romanzo di Geda, Anime scalze.

Un consiglio di lettura che sono tanto felice di aver ricevuto: per la storia di Ercole e della sua famiglia scomposta, per la scrittura che danza leggera sulla pagina, a volte densa, altre lirica, in equilibrio precario sui passi dell’adolescenza. Tutto è amore e subito tutto è perduto. Un assoluto dietro l’altro. Insieme a stupore e tenerezza.

La copertina con l’illustrazione di Alessandro Baronciani non è solo bellissima ma anche centrata sul tema.

Mi dispiace quasi essere arrivata alla fine ma sono felice di aver scoperto un nuovo autore che mi piace.

Nonostante tutto.
Jordi Lafebre.
Bao publishing.

Da Topolino ai manga alle graphic novel. Il fumetto è una forma d’arte che mi ha sempre affascinato.

Nonostante tutto mi ha colpito appena uscito. Perché inizia dalla fine della storia e ci accompagna dove tutto è iniziato. Tenendo acceso l’interesse e forte l’emozione.

Romantico, mai stucchevole, spesso scanzonato.

Colori e disegni che fermano anche me (che ho sempre fretta di leggere la storia) su un dettaglio, un’espressione o la scelta dei colori.

Una delle letture più belle degli ultimi mesi, forse perché il testo accompagnato dal disegno arriva più diretto, saltando i controlli doganali della mente.

Consigliato a chi ama e a chi è stato innamorato ❤

Il confine. Silvia Cossu. Neo edizioni

Romanzo veloce, avvincente, eppure vischioso. Sembra scivolare ma rimane incollato addosso. Riecheggia in strane coincidenze.

Una scrittrice che ha perso l’ispirazione si dedica alle biografie su commissione. Offre un senso alle vite degli altri, lei che è bloccata in un limbo privo di emozioni.

Quando incontra Mosco, prestigioso psichiatra, i suoi punti di riferimento slittano: verità, significato, scrittura: ogni cosa sta sul confine ed è un attimo rovesciare il punto di vista, perdersi per poi magari ritrovarsi. O sparire per sempre.

Ci sono pagine molto belle in questo romanzo di Silvia Cossu e ancora una volta Neo edizioni rimane fedele alla sua ricerca di autrici forti, analitiche, spietate nell’analisi dell’animo umano e comunque capaci di sprazzi di intensa tenerezza.

Mosco, la regista di film erotici, il giudice, la scrittrice, sono personaggi dominati dalla complessità e dalla contraddizione. Ci accompagnano avanti e indietro nel tempo, in un gioco elegante che si chiude perfetto e allo stesso tempo lascia l’inquietudine di non poter conoscere la verità ma di dover continuare a camminare sul confine.

Salvamento è il romanzo di esordio di Francesca Zupin, uscito a inizio 2022 per Bollati Boringhieri.

Non è stato amore immediato:

Giulio così ascetico, così osservatore, incapace di agire e perso tra le parole.

Stella, che non riesce a staccarsi dai contrasti dell’adolescenza, elegante e ribelle, affamata di amore e incapace di trattenerlo.

Bobo, sempre il più figo, quello che fa sempre la mossa giusta al momento giusto, incantando gli altri e prendendo quello che vuole ma sacrificando se stesso.

Tre vertici di un triangolo attorno al quale la scrittura accurata di Zupin costruisce una storia che si scompone e ricompone, sullo sfondo di una Trieste che è già nostalgia.

[dalla pagina Instagram di Diari alaskani https://www.instagram.com/diarialaskani/%5D

E se siete arrivati a leggere fin qui, auguri per un nuovo inizio e tante belle letture ❤

Marta