Dieci/Dieci una data facile da ricordare

cielo e alberi

Le date hanno sempre rappresentato per la mia memoria uno scoglio piuttosto viscido. Quando credo di avere un aggrappo sicuro, un’onda più infida delle altre mi ripiomba nell’ignoranza: i numeri si confondono, si alternano, si scambiano di posto, si nascondono o fingono di essere qualcun altro. A parte qualche riferimento che emerge come una cima tra le nebbie (1492 – 1789 – 15/18) il resto si perde, con mio sommo fastidio tra  l’altro, soprattutto se penso a tutte le ore della mia vita spese in una lotta impari.

Per le ricorrenze la situazione è piuttosto simile: ricordo qualche compleanno, qualche anniversario, ma solo se lo tengo in vita, se me lo ripeto tra me e me, in una cantilena che assomiglia al rosario di preghiere dei maggi della mia infanzia. Per dire, ho ancora qualche incertezza nel ricordare la data esatta di nascita di mia figlia, ma conto che con gli anni (e i moduli da compilare) diventerà un κτῆμα ἐς αἰεί  (un possesso per sempre, come diceva la Bresolin, la mia prof. di greco del liceo, e prima di lei il signor Tucidide).

Un data che invece non riesco a scordare, che mi si è infilata sotto pelle come una zecca e si gonfia e pulsa a mano a mano che si avvicina, che continua ad avvelenarmi il sangue, anche se ogni anno sono sicura di essere diventata immune (e di certo un po’ lo sono diventata, o forse sono solo rassegnata a questa malattia ciclica, un po’ come un’allergia o un’influenza stagionali), un data, dicevo, facile da ricordare è oggi: dieci del dieci. E oggi, per il ventisettesimo anno consecutivo, maledico questo giorno. E, ancora una volta, ci dedico un post su un blog. Perché scrivere è cercare di dare una forma al guazzabuglio che ho dentro.

Oggi prevale la rabbia, per tutto quello che poteva esserci e non c’è stato. Per il mio animo sbilenco. Per l’assenza che è presenza, costante. Perché preferisco essere arrabbiata che piangere altre lacrime. In attesa di un’accettazione serena che prima o poi si deciderà ad abitare stabilmente dentro di me.

Il passato che non passa ma ci si ferma accanto.

passato-e-presente

Vivere il presente. Essere proiettati nel futuro.

Slogan che sento spesso ripetere ma che mi scivolano addosso.

Il passato è sempre accanto a me. A volte è una presenza confortante, altre una nostalgia, altre ancora il dolore di un’assenza.

I sentimenti non si superano, si sedimentano. Strato dopo strato costruisco nuove città, nuove vite, ma nulla è cancellato. Basta un niente e la memoria, quella che mi tradisce quotidianamente, che mi fa incespicare su parole dette mille volte o su numeri che si imbizzarriscono, quella memoria, quando vuole, ha una precisione maniacale.

La settimana scorsa ero dal fisioterapista e mentre scoprivo nuove forme di dolore fisico una canzone mi ha spezzato il cuore. Ne ho sentito il rumore, lo conosco ormai, e dagli occhi hanno iniziato a sgorgare lacrime. Mi sono ritrovata in autunno, lungo una via del centro, appena uscita dal cinema, il freddo, i cappotti, io aggrappata a mia madre e tutto il dolore trattenuto che voleva uscire a forza, strappato da un film che non sono più riuscita a vedere, da un brano che non posso più ascoltare senza sentirmi lacerata.

Come amerò sempre mio padre, così mi mancherà per sempre, anche se sono passati infiniti anni. E questo rimanere inchiodata in qualcosa che non si è mai compiuto, in un’assenza che è sempre stata presente, mi porta a vivere più negli anni che sono stati piuttosto che in quelli che sono. Il passato ha la certezza di non mutare, il presente è incerto. Forse è per quello che amo gli immutabili panorami, le antiche città, le eterne opere d’arte.

Ogni tanto, per fortuna, la nostalgia si fa meno forte, più dolce, e toglie il suo velo dallo sguardo sull’oggi.

Domani andrà meglio e un altro anniversario sarà passato.

2016-1991=25

farfalle-fiore-viola

Oggi è una giornata fredda e ventosa.

Il sole di ottobre cerca di scaldare le foglie e le mani, appena tremolanti.

Di solito il dieci ottobre piove. O c’è nebbia. Invece oggi il cielo ha solo qualche velatura.

E’ così anche per me.

E’ passato il tempo delle lacrime, il tempo del dolore sordo e cattivo che inquina il presente. La rabbia e il senso di ingiustizia.

Rimane una quieta nostalgia. Un filo di tristezza a volte più spesso, a volte più esile.

Si dice che il tempo curi ogni ferita. E’ il semplice sovrapporsi degli anni a sbiadire i sentimenti? O il merito è di chi resta, di quello che resta. Di chi arriva.

E’ passato il tempo delle lacrime. Vorrei lo fosse. Ma finché c’è il ricordo di un amore così grande, reso perfetto e indelebile da una chiusura netta e irrevocabile, il dolore saprà sempre trovare la sua strada, chiudere la gola e arrossare gli occhi. Un momento e poi verrà deglutito, riassorbito in una giornata simile alle altre.

Oggi splende il sole. Vorrei piovesse.

21 gennaio – emozioni in libertà

rosa rosae

Non ci sono parole e non ci sono immagini che possano rappresentare compiutamente l’amore che provo per te. E’ una costellazione di emozioni, è la felicità perfetta di stare insieme. Passano gli anni e ci lasciano stupiti di come questo arco d’amore superi sempre se stesso, nutrito e curato con attenzione, ogni giorno. Migliaia di parole sono state già scritte, molto più belle delle mie, ma queste sono solo per noi, per un sentimento così complesso e prezioso che perde senso copiare frasi altrui.

Mentre ti penso scorrono tutte le immagini felici di questi anni. Sorrido: non saprei quale scegliere, come sempre. Chiudi gli occhi, so che le ricordi anche tu. Giorni, mesi, anni trascorsi insieme, e ancora mi manchi se una sera non puoi tornare a casa.

Ho sempre un po’ timore a scrivere di noi, ho paura dell’invidia degli dei di cui tanto ho sentito parlare. Ma insieme possiamo affrontare ogni cosa, lo sappiamo, e così potrei scrivere per ore di noi e della nostra storia. Potrei ma preferisco aspettare stasera per raccontarcela un’altra volta ancora, occhi negli occhi e cuore nel cuore.