Cibiana sotto la neve. Magia dolomitica.

Cibiana sotto la neve. Magia dolomitica.

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Tutti noi abbiamo un luogo del cuore, il mio è Cibiana di Cadore.

La neve di questi giorni ha dato nuove sfumature alla luce e all’aria, ha reso ancora più magico questo piccolo paese che tanto sa darmi ogni volta che torno.

Invece di scrivere tante parole, vorrei esprimermi ancora una volta per immagini, sperando di riuscire a trasmettere le emozioni che provo a camminare tra queste antiche case, nella ancora più silenziosa valle, placida sotto la neve.

Il cielo è in continuo cambiamento, luminoso – anche di sera – oppure opaco di neve. Si colora di azzurri, ora intensi ora pastellati. I tramonti accendono l’aria e le montagne, dipingendole con sfumature rosse e rosa.

 

Ci sono mattine così terse in cui le montagne si ammantano di lucente vapore.

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La neve ricopre i tetti, gli stretti passaggi tra le case. Si accumula contro i muri, si ammassa sui pendii.

 

I murales assediati dalla neve emergono potenti nel paesaggio monocromo.

 

Il tempo atmosferico si diverte a mutare aspetto, accendendo e spegnendo i colori nel volgere di pochi minuti.

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Il paesaggio vira bruscamente sul bianco e nero, la neve comincia a cadere ancora, silenziosa.

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Tra queste case e queste motagne ritrovo la mia pace.

E vorrei trasformarmi in animale del bosco per non dovermene mai separare.

Cibiana di Cadore, un paese da amare.

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C’è un paese all’ombra delle Dolomiti, tra la Valle del Boite e il comprensorio di Forno di Zoldo, che esercita un’antica malìa su chi abbia la fortuna di visitarlo.

Piccolo, lontano dalle rotte commerciali verso Cortina, circondato da boschi silenziosi, allunga le sue contrade per la stretta valle del torrente Rite.

Cibiana di Sotto, Masariè e Pianezze sono le borgate più antiche, fatte di legno e pietra. Le strette stradine accompagnano le curve del terreno, prima piane, poi ripide, infine dolcemente degradanti. Ogni passo è uno scorcio di bellezza, sulla natura, sull’opera dell’uomo, sull’equilibrio mirabile delle due.

Cibiana è un paese sottratto a forza all’abbandono, giorno dopo giorno. I balconi si chiudono per poi riaprirsi a nuova luce. I vecchi accompagnano i giovani in una rinascita costante e fiduciosa.

Cibiana è le sue pietre e la sua gente. E’ il sorriso orgoglioso e onesto che ti accoglie. Cibiana è fatica e soddisfazione.

Cibiana è casa. C’è chi ci è nato, chi è partito, chi è tornato. Chi è arrivato e non può non ritornare. Chi resta.

Cibiana è bellissima. In estate, quando si anima di manifestazioni e i turisti giornalieri vociano per le sue vie indicandosi ogni piccola meraviglia. In autunno, quando i boschi diventano un arazzo intessuto di aranci e verdi appoggiato sui piedi del Sassolungo. In inverno, quando il silenzio è punteggiato dal canto delle fontane e la neve, copiosa, nasconde strade, giardini e case. In primavera, quando il sole ritorna a bagnare generoso la valle e i colori ritornano ristorati dal sonno invernale.

Cibiana è arte. Quella antica, del ferro e degli scarpeti. Quella più recente, dei murales che da più di trentanni raccontano le storie del paese. Quella del museo di Messner, appollaiato sulla cima del Monte Rite.

Cibiana è il Sassolungo che veglia sul suo paese a valle, il profilo che cambia sotto la carezza della luce e delle nuvole, in un continuo gioco di sovrapposizioni e sfumature che ferma il tempo.

Cibiana sono i sentieri che esplorano i boschi, le piane, i ghiaioni. A volte docili, altri aspri, spesso forieri di incontri inattesi.

Cibiana.

Un paese da amare.

 

 

 

Black out in Cadore – non esiste solo Cortina!

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La mattina dopo Natale, quando si è stanchi per il troppo cibo e i troppi auguri e si vorrebbe solo rimanere al calduccio sotto il piumone, uscire dal letto è un po’ una sfida.

Lo è ancora di più quando scopri che la stufa è spenta. Cosa avrà stavolta? E’ saltata di nuovo la corrente? Sì, ma non sono i tappi, tutto il paese è senza luce. Apri la finestra e tutta la pioggia del giorno prima si è fatta neve. Nuvole basse nascondono le montagne, gli alberi si piegano sotto il peso improvviso e una neve pesante continua a cadere dal cielo e nascondere i contorni delle cose. Un lampo, un tuono. Da quando in qua tuoneggia mentre nevica? Qualcosa non va.

Accendiamo il camino, mettiamo un po’ di legna nel boiler. In camera 12 gradi, in zona giorno 15. Freddino. Cerchiamo informazioni sui cellulari ma prendono a tratti, si fa fatica a telefonare. Bisogna uscire.

Piumone, scarponi, ramponi e macchina fotografica. Via verso il centro del paese, in cerca di notizie attendibili. La corrente non è ancora tornata. Rami spezzati, alberi caduti, cavi della corrente tranciati. La neve è troppo pesante, il terreno non è gelato e gli alberi che non sono stati curati cadono. Camminando raccogliamo notizie: sono caduti dei tralicci in Austria, o al confine con l’Austria. Comelico e Cadore sono senza corrente, le strade sono interrotte da numerosi alberi caduti, non ci si può muovere. Siamo prigionieri della valle.

Sapete cosa vuol dire essere senza corrente? Non per un paio d’ore, ma per giorni. Senza preavviso, senza notizie, senza sapere se e quando tornerà.

Manca la luce. Per fortuna ci sono una torcia e delle candele. Mio fratello crea suggestivi percorsi per la casa. Ma a lume di candela non leggi, non ti vedi nemmeno allo specchio per passare il filo interdentale.

Manca il riscaldamento: pellet e stufe a gasolio hanno bisogno di elettricità per funzionare. La temperatura scende, inesorabile, grado dopo grado. Il camino riscalda qualcosa ma la legna cala, velocemente. I vestiti zuppi di neve fradicia ci mettono quasi 24 ore ad asciugarsi. I gatti la notte dormono insieme a noi, hanno freddo pure loro.

Non c’è energia: frigoriferi e congelatori iniziano a scaldarsi. Fuori ci sono pochi gradi, non siamo sotto zero. I negozianti sono disperati. Le scorte di cibo sono a rischio.

Non funzionano i ripetitori: niente telefoni cellulari, ma nemmeno fissi. Pure quelli smettono di funzionare. Ascoltiamo le notizie alla radio in auto ma non possiamo contattare nessuno. I nostri cari sono preoccupati e anche noi.

Noi siamo fortunati, almeno abbiamo l’acqua calda. Tanti no.

Spaliamo neve, sentiamo i vicini. Dopo le quattro del pomeriggio muoversi è difficile. E’ buio. Nemmeno le stelle e la luna a rischiarare il cammino. Una gatta cade dalle scale e piange. Nemmeno lei vede nulla una volta spente le candele. Ceniamo insieme alle vicine, i nostri angeli. In compagnia il disagio diventa avventura, l’umore è alto nonostante tutto. Ma se qualcuno stesse male in paese questa notte non avrebbe scampo. Siamo totalmente isolati.

Arriva un altro giorno e ancora niente corrente. Il passo a monte e il bivio a valle sono ancora chiusi. Splende il sole e le montagne brillano di bellezza. La luce ci rallegra ma le notizie non sono confortanti. Ci vorranno chissà quante ore per riparare il guasto, forse giorni.

Meditiamo la fuga: la legna è quasi finita e prevedono ancora brutto tempo. I vicini ci propongono di dormire da loro, hanno un generatore. Finchè c’è gasolio. Perchè le pompe di benzina senza elettricità non funzionano. Ne hanno collegata una alla centrale idroelettrica e ci sono code di ore. Ma tanto la strada è chiusa e non possiamo raggiungerla.

In casa si gela. Ci diamo da fare per scaldarci: chi dentro a preparare le valigie, chi fuori a liberare le auto intrappolate dalla neve. Forse aprono il bivio in serata. Dobbiamo tentare.

Le ore scorrono veloci, finiamo di chiudere la casa e prepararla al gelo ed è già notte. Sono solo le quattro e mezza. Le auto sono riuscite a risalire fino alla statale, dopo momenti di ansia e la paura di rimanere bloccati. Non c’è ghiaia su tutte le strade e le nostre auto da città faticano.

Scappiamo. Salutiamo prima i nostri amici, riconoscenti per il loro supporto e preoccupati di lasciarli ancora lì. Ma sono attrezzati meglio di noi e siamo più utili lontani che vicini. Consumiamo meno risorse. Vorrei restare, tanto, ma non si può.

Passiamo le transenne e raggiungiamo la strada che da Cortina scende a Pieve di Cadore. Ci accoglie una colonna di auto, in fuga dal freddo. Man mano che scendiamo vediamo le prime luci. Rimaniamo abbagliati. Le luminarie di Natale ci ricordano che Natale è appena passato, eppure sembra lontanissimo. A un tratto i cellulari riprendono vita, siamo connessi al mondo. Chiamate perse, messaggi, e le notifiche della quotidianità. Dobbiamo aspettare che finiscano le gallerie per poter chiamare i parenti rimasti in pianura e rassicurarli. Scende la tensione.

Arrivati a casa troviamo che la corrente è saltata pure qui e devo buttare tutto quello che c’è nel frigo e nel congelatore. Mi sento un po’ meno in colpa per essere tornata nella mia casa, comunque calda, comunque illuminata.