La bellezza del marito. Un saggio romanzato in 29 tanghi. Di Anne Carson

Anne Carson (Toronto, 1950) è una poetessa, saggista e traduttrice canadese. Insegnante di letteratura classica, letteratura comparata e scrittura creativa, ha vinto numerosi premi e ricevuto importanti onorificenze.

La bellezza del marito. Un saggio romanzato in 29 tanghi è un’opera del 2001, tradotto in Italia nel 2022 da Chiara Spaziani per La tartaruga edizioni. Altre opere dell’autrice sono invece in corso di pubblicazione con Utopia editore, in un’ottica di recupero di un’autrice molto apprezzata all’estero e ancora poco conosciuta in Italia.

In quest’opera, in particolare, la scrittrice canadese ci racconta del suo matrimonio: lei è la moglie, di cui conosciamo l’identità, lui il marito, senza nome. Due archetipi che si incontrano, si scontrano e restano invischiati, per anni.

eri solito dire. “Il raddoppiamento del desiderio è l’amore, il raddoppiamento dell’amore è la follia.”

Il raddoppiamento della follia è il matrimonio

aggiunsi io

Anne Carson costruisce un dipinto della sua relazione fatto per pannelli. Lei li chiama tanghi, per sottolinearne forse il ritmo, la malinconia e la sensualità. Sono tutti preceduti da una citazione di Keats (a cui poi è dedicata l’opera) e hanno un andamento che non è del tutto prosa e non è del tutto poesia. Piuttosto un linguaggio ibrido, ricco di citazioni, coltissimo e allo stesso tempo concreto che procede per contrasti, emotivi e lessicali.

Quando viene pubblicato, Carson ha cinquant’anni. Perché lo sottolineo? Leggendo mi sono chiesta quale fosse il significato di questo libro, a che punto si collocasse nella vita dell’autrice. L’impressione è che si tratti di un lungo addio. Che Carson abbia avuto il bisogno di trovare un significato alla sua relazione complessa, a tutto il dolore patito, a tutto l’amore provato. La soluzione è la bellezza. Solo la bellezza può giustificare ogni incongruenza e complessità. E per una poetessa fare pace con la bellezza è più semplice che farlo con un uomo.

Fedele a niente

il mio sposo. Perché allora l’ho amato dalla prima adolescenza alla tarda maturità

e ho ricevuto per posta la sentenza di divorzio?

Bellezza. Non è un gran segreto. <non mi vergogno a dire che è per via della sua bellezza che io l’ho amato.

È così lo amerei ancora

se mi si facesse vicino. La bellezza persuade. Sapete, la bellezza rende il sesso possibile.

La bellezza rende il sesso sesso.

Anne Carson ci dice subito che suo marito è un traditore seriale, fin dai primi mesi di matrimonio. È anche un ladro: dei suoi incipit, dei suoi racconti. Eppure la sua bellezza è tale che lei non può staccarsene. Questa bellezza di cui lei parla è quella dell’aspetto, dei gesti, delle parole Il marito scrive lettere bellissime. Il marito è disperatamente sincero con lei, anche quando dice il falso. Lei è l’unica donna che ama. Di cui ha bisogno. Poco importa se dopo il divorzio si è risposato e ha avuto dei figli. Lei. Lei è quella speciale. Quella a cui lui sempre ritorna. Lui si pone in una posizione di debolezza, di bisogno, eppure è lui che se ne va, che l’abbandona.

Certo che lo so.

Vuoi dirmelo?

No.

Perché no.

Voi gente sposata vi attaccate troppo alle cose, vi logorate e vi slogate.

Ovvero?

Ovvero non sprecare le tue lacrime per questa qui.

Questa. È una serie?

È un intervallo nella serie la serie sei tu.

È quello che dice lui?

È quello che dice sempre.

La distanza del ricordo permette l’ironia, la lucidità ma anche l’onestà di non negare una grande passione, un grande amore. Forse solo il linguaggio della musica e della poesia possono lasciare intuire qualcosa che altrimenti non sarebbe spiegabile nella sua complessità.

Il modo di amare di Anne Carson è romantico nella sua violenza, nella sua fragilità. Nella freddezza e nel calore. Nella moltitudine di anime che racchiude.

La bellezza di un marito è il ritratto di un matrimonio, di un uomo ma soprattutto di una donna, un’artista che va ad aggiungersi al mio pantheon di più ammirate.

Nota a margine

Quando mi trovo di fronte a un’opera che mi entusiasma così tanto ho subito due reazioni automatiche: da una parte mi piace informarmi e dall’altra mi faccio scrupolo a scrivere la mia opinione. Mi sembra di non essere abbastanza qualificata, di non conoscere le parole esatte per trasmettere la complessità di quello che ho provato leggendo, di non trovare la struttura più solida su cui appoggiare l’esplosione di immagini e idee che sono scaturite dall’incontro.

Penso spesso che la soluzione migliore sia dare voce alle parole dell’autrice.

Così, per sfida e per gioco, ho letto il tango XVIII ad alta voce.

Le affinità elettive

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Ci sono alcuni romanzi che per anni occhieggio sugli scaffali della libreria, in un corteggiamento muto ed esitante, fatto di pagine sfogliate, brevi assaggi e rinunce.

Certi libri vanno letti al momento giusto, nella condizione d’animo più pertinente, altrimenti ci si imbatte in una ingiusta delusione.

Le affinità elettive di Goethe è uno di questi.

Acquistato alla fine delle superiori, mi ha accompagnato in due traslochi e in almeno in un paio di viaggi. Sempre con scarso successo.

Un paio di settimane fa, mentre esitavo sulla scelta della prossima lettura, momento terribile e divino insieme, ho deciso di buttarmi.

Non è stata una lettura agevole, costellata di numerose interruzioni che forse non mi hanno permesso di apprezzare appieno un romanzo così importante dell’Ottocento.

La trama è ai più nota: siamo in Germania, ambiente nobiliare, Carlotta ed Edoardo sono una coppia di sposi che accoglie nella sua dimora l’amico di lui, il Capitano, e la pupilla di lei, Ottilia, andando a guastare irrimediabilmente gli equilibri preesistenti. Prendendo a prestito dalla scienza il fenomeno chimico dell’affinità elettiva, Goethe lo applica ai rapporti umani: gli elementi affini, quando entrano in contatto, sono destinati a separarsi dagli elementi con cui erano uniti per creare un nuovo legame tra di loro.

Come i Dolori del giovane Werther, anche quest’opera di Goethe non mi ha appassionato. Mi infastidiscono la descrizione della passione esagerata, senza controllo, romantica (nell’accezione ottocentesca) di Edoardo, la quieta rassegnazione di Carlotta e del Capitano, l’eccesso spirituale di Ottilia. Non ho amato nessuno di questi personaggi. La loro visione dell’amore e della passione amorosa è troppo lontana dalla mia, ha un che di categorico ed adolescenziale che mi urta. I protagonisti sono schiavi della loro individualità, incapaci di trovare un dialogo o un compromesso. Come scrive lo stesso Goethe per bocca di Mittler, il mediatore, è più facile far ragionare le anime semplici che i nobili, troppo istruiti, troppo impregnati del bel mondo.

Le Affinità elettive sono ricche di temi e spunti: la dualità tra ragione e sentimento, tra uomo e natura, in un continuo tentativo di prevalere uno sull’altro; ci sono le bellissime descrizioni di paesaggi e degli interventi dell’uomo su di essi; analisi dei caratteri e della società.

E’ un romanzo complesso e affascinante, anche se certe pagine le ho trovate pedanti, ma il giudizio complessivo è buono. Il che mi fa un po’ ridere perché si tratta pur sempre di un classico e bisognerebbe forse approcciarlo con più istruzione, ma questa non è una recensione e io non sono un critico letterario. Scrivo solo alcune impressioni in maniera sciolta, per il piacere di parlare di letture, anche ostiche, cercando di evitare l’effetto tema in classe. Non sono più al liceo, per fortuna!

Ora mi resta da assaporare l’indecisione della prossima lettura. Che bello!

 

Ragione e sentimento – Jane Austen è sempre attuale

Ragione e Sentimento - Jane Austen

Perchè leggere i classici? Mi chiede Calvino dal reparto narrativa della libreria. Non conosco ancora la sua risposta, ma mi sono fatta un’idea sull’argomento.

Intanto un classico è un libro che ha resistito al Tempo, alla Critica e trova continuamente lettori appassionati. In seconda battuta un libro per definirsi tale non deve mai smettere di dirci qualcosa, su noi stessi o sul mondo. Deve avere un messaggio universale, non tanto una risposta quanto piuttosto una domanda, o più di una.

I classici si amano o si odiano. Non lasciano indifferenti. E quando nasce un amore spesso si ha voglia di riviverlo, anche a distanza di anni.

Con Jane Austen è così. Ho letto tutte le sue opere. Più volte e in fasi diverse della mia vita. Anche se Orgoglio e Pregiudizio rimarrà sempre il libro che amo più di ogni altro, mi sono appassionata anche ad Emma e Ragione e Sentimento, questo finito da poco di rileggere.

Sarà che è impossibile non riconoscere e riconoscersi nei personaggi creati dalla penna della mitica Jane, ritrovarsi e ritrovare i piccoli difetti, le rare virtù, gli slanci generosi e le meschinità quotidiane. Amore, amicizia e affetti familiari si contrappongono ai doveri sociali, invidia e grettezza d’animo.

Le eroine austeniane non sono perfette e proprio per questo è più facile riconoscersi in loro.

Le sorelle Dashwood rappresentano i due poli del titolo: Elinor è razionale, riservata, assennata mentre la sorella minore Marianne coltiva un animo appassionato, incapace di finzioni o tiepidi entusiasmi. Marianne disapprova la sorella, non comprende che la profondità dei sentimenti non è proporzionale alla loro ostentazione. E’ una ragazza impulsiva, giovanissima, piena di sogni e giudizi taglienti su chi non è brillante come lei. Elinor invece soffre in silenzio, il senso del dovere la porta ad essere leale anche con chi vuole solo ferirla, si accolla l’onere dei rapporti sociali per rimediare alla selvatichezza della sorella.

Ma alla fine del libro chi prevale? La ragione o il sentimento? Nessuno dei due, quanto piuttosto la loro armonia, ricercata in una coesistenza impossibile e in un equilibrato alternarsi.