Mal di casa di Catrina Davies

L’economia e l’ecologia sono due facce della stessa medaglia. La giustizia sociale dipende da un ecosistema sano.

Mal di casa – perché vivo in un capanno, è il memoir di Catrina Davies, una cantautrice gallese che dopo un’infanzia idilliaca a contatto con la natura della Cornovaglia, si trova sradicata per colpa della crisi abitativa che ha colpito l’Inghilterra e che ha portato suo padre alla bancarotta e sua madre alla depressione. Stanca di sopravvivere in un ripostiglio in subaffitto a Bristol, ossessionata dalla mancanza di soldi e di un luogo che possa chiamare casa, Davies molla tutto e si trasferisce in un vecchio capanno fatiscente vicino all’oceano che suo padre usava come studio.

Ero consapevole che, vista dall’esterno, la mia vita nel capanno sembrasse bizzarra e disperata, soprattutto all’inizio, quando il capanno era un pugno in un occhio, talmente derelitto che pareva sul punto di collassare. Ma per me viverci era qualcosa di assai meno disperato rispetto alle mie vite precedenti in tende e caravan parcheggiati su terreni altrui, o in stanze in affitto dal costo esorbitante. Mi piacevano la luce e la solitudine, mi piaceva trascorrere la maggior parte del tempo all’aperto, adattare il mio comportamento alla forza del vento o alla rigidità del freddo, come i passeri che si nascondevano nel prugnolo spinoso e uscivano cantando con il sole. Ho scambiato frigoriferi e termosifoni con la libertà, e sebbene il mio stile di vita mi abbia posto delle sfide, sono arrivata alla conclusione che la libertà valga qualsiasi privazione materiale.

Il romanzo, pubblicato da Atlantide edizioni nella collana Blu nel 2020, si articola in brevi capitoli in cui Catrina parte dalla sua esperienza personale per raccontare una crisi sociale che tocca molti di noi.

Lo stile è frammentario: si basa sulla narrazione di un tempo recente (il primo anno in cui Catrina ha iniziato a vivere in maniera abusiva nel capanno) e si ramifica in ricordi della sua vita passata, analisi linguistiche su termini che l’autrice ritiene significativi, riferimenti a saggi e dati ufficiali per avvalorare la sua interpretazione della realtà. Non mancano numerosi riferimenti letterari, soprattutto a Thoreau, che con il suo Walden, vita nei boschi, si rivela ancora attuale e con cui diventa impossibile non confrontarsi.

Mentre leggevo questo saggio/memoir, non ho potuto fare a meno di ricollegarlo a Il grande marinaio, romanzo di Catherine Poulaine, e La strada alla fine del mondo di Erin McKittrick. In tutte e tre le opere, raccontate in prima persona, l’esperienza personale forte, a contatto con una natura selvaggia e indomita, è l’occasione per tre donne molto diverse per riflettere sulla propria crisi personale e cercare di darle una interpretazione. Sono resoconti di vita, hanno uno spunto diaristico, ma la riflessione porta a esiti diversi. Per Davies diventa un manifesto sociale, la condanna di un sistema economico squilibrato che si riflette soprattutto sulla crisi delle case, troppo onerose per la maggior parte degli abitanti e spesso vuote perché è più redditizio affittarle come case vacanza. Per Poulaine invece si apre uno scenario più poetico, intimistico, anche violento, mentre per McKittrick l’accento è soprattutto sulla questione ecologica. Per tutte la Natura diventa il banco di prova della propria esistenza, la possibile legittimazione quando tutto il resto non funziona. È una madre severa e distante, che non si cura dei suoi figli ma solo perché i suoi tempi sono diversi rispetto ai nostri. Sta a noi ridimensionare il nostro ruolo e capire che siamo parte di un ingranaggio meraviglioso e complesso. Sempre l’avidità è nemica, sempre la forza che troviamo in noi non è sufficiente: siamo animali sociali e il confronto e il supporto dei nostri simili sono necessari.

Leggere questo romanzo ha significato mettermi in una posizione scomoda: la paura di restare al verde, che per me è un fantasma vago ma terrorizzante, per l’autrice è una realtà che la porta a grandi privazioni ma anche a scelte fondamentali. La sua coscienza sociale ed ecologica è molto forte, mentre io sono una privilegiata, consapevole della situazione ma senza un ruolo attivo in prima persona per portare un cambiamento. La sua forza fisica, l’abitudine a surfare, il rapporto con la natura, la capacità di sopravvivere senza bagno, corrente, riscaldamento… Ecco, io sono molto affezionata alle mie comodità e non sono sicura che saprei rinunciarci in nome di qualche principio astratto. In certi passaggi forse ho trovato l’autrice un po’ troppo indulgente con se stessa, critica solo in apparenza. È il rischio di scrivere un libro per sostenere una tesi, senza contraddittorio. Quando poi l’oggetto che viene studiato è anche quello che compie l’osservazione, diventa impossibile mantenere la giusta obiettività.

Pur con queste sbavature, Mal di casa (Homesick nel titolo originale) offre uno spaccato davvero interessante sulla crisi sociale in Inghilterra e pone le basi per riflessioni importanti sul ruolo dell’economia e della politica per gestire un sistema sempre più vicino al collasso.

Mal di casa. Perché vivo in un capanno. Catrina Davies. Traduzione di Paola De Angelis. Atlantide edizioni. 2020.