La scuola del racconto – Leggere per imparare a scrivere

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In questo ultimo mese non ho scritto sul blog ma sono riuscita a leggere qualcosa: un paio di Simenon prestati dal giornalaio, Le pagine della nostra vita di Nicholas Sparks consigliato dalla commessa della Feltrinelli e tre volumi della Scuola del racconto in uscita con il Corriere della Sera.

Suona abbastanza ironico leggere una collana dedicata alla lettura e alla scrittura quando non ho molto tempo né per l’una né per l’altra. Si tratta però di volumetti decisamente golosi, scritti con cura e che appagano il mio cervellino affaticato dai risvegli notturni e dalle innumerevoli poppate (caleranno prima o poi, spero). L’unica pennellata negativa è che ho perso la prima uscita: ho girato ben quattro giornalai (un’enormità per una donna con infante al seguito) ma era andata bruciata ovunque e non riescono nemmeno a recuperarmela. Se qualche anima pia volesse vendermi la sua scrivetemi!

Abbandonando al suo destino l’accorato appello di cui sopra, vorrei parlarvi più diffusamente di questa iniziativa. Ogni giovedì insieme al Corriere della Sera può essere acquistato per 6.90 € un volume della collana curata da Guido Conti. Con l’aiuto di un autore ogni volta diverso vengono affrontate differenti tematiche legate al mondo della narrativa. Nel secondo volume, ad esempio, vengono analizzati alcuni racconti di Guy de Maupassant per spiegare come una stessa idea letteraria possa dar vita a diverse stesure, con tagli narrativi estremamente diversi. Guidati dal curatore scopriamo così l’incessante lavorio dello scrittore che torna in continuazione sui suoi spunti fino a trovare la forma perfetta. Almeno fino alla prossima interpretazione.

Nei volumi letti finora ho trovato diversi spunti di riflessione, sia come lettrice che come eterna aspirante scribacchina. Mi sono accorta che il mio approccio alla lettura è spesso ingenuo e superficiale, molto istintivo. Avere nuove chiavi interpretative mi aiuta ad apprezzare di più i bravi autori che ho letto e imparare da loro. Ma gli stimoli non si fermano solo all’ambito letterario. Ogni autore viene contestualizzato e nel volume dedicato a Guareschi ho capito un po’ di più il clima del dopoguerra e gli anni di piombo, periodo di cui ho una conoscenza terribilmente limitata.

Sto scrivendo con la bimba in braccio che mi interrompe quasi ogni riga ma spero di avervi incuriosito un po’ riguardo a questa collana e che vi venga lo sghiribizzo di provare una delle prossime uscite. Perché anche lo spirito va nutrito, possibilmente con piatti sfiziosi e nutrienti.

Fact checker

In questo interessante articolo del Corriere della Sera, sezione cultura, si parla di The Lifespan of a Fact, un libro che nasce dalla collaborazione tra lo scrittore John D’Agata e il fact checker Jim Fingal.

Ora, alzi la mano chi di voi ha mai sentito parlare di questa figura professionale.

Incuriosita, ho fatto una breve ricerca in rete e ho scoperto che mentre in Italia è quasi sconosciuto, nel mondo anglosassone e tedesco il fact checker è fondamentale per garantire autorevolezza alle testate periodiche. Esistono addirittura reparti dedicati esclusivamente al fact checking, come nelle redazioni del New Yorker e del Der Spiegel.

Ma qual’è il compito di questo “verificatore di fatti”? Come dice la traduzione letterale, si occupa di verificare l’attendibilità e la correttezza delle informazioni presenti negli articoli.

Immaginiamo cosa potrebbe significare in Italia, dove si fa un uso piuttosto disinvolto delle notizie senza controllare le fonti e badando soprattutto all’effetto sensazionalistico. Potremmo avere un’informazione più scarna e meno avvincente ma con molta più sostanza. Più Sole 24 ore e meno Tgcom per intenderci. Vorrebbe dire fare le pulci a tutte quelle dichiarazioni spacciate per dati di fatto, ossia chiudere la bocca a gran parte dei nostri politici.

Da ingegnere non posso che apprezzare questo rigore nella ricerca della Verità, ma mi rendo conto che in certi casi possa raggiungere il paradosso. Una notizia non può ridursi a un comunicato stampa, per quello ci sono gli organismi come l’Ansa, e le informazioni hanno bisogno di un lavoro di mediazione per essere fruibili e pienamente comprese dal pubblico.

Questo concetto viene esasperato nel libro, dove assistiamo a un dialogo impossibile tra velleità artistiche e ossessione per la correttezza: mentre D’Agata romanza i fatti per renderli più incisivi e contestualizzarli, Fingal non si limita a correggere le numerose imprecisioni e iperboli ma ne fa una questione di principio morale, andando a far le pulci ad ogni singola affermazione. Incapaci di trovare un compromesso, spingono la loro idea di scrittura ai limiti estremi, arrivando perfino ad insultarsi.

Riflettendo sul mio stile di scrittura, non posso dare ragione a nessuno dei due: quando si racconta una storia vera non bisogna ingannare il lettore nascondendosi dietro la scusa di esigenze artistiche o letterarie ma non si deve nemmeno essere così fedeli ai fatti da renderli una mera lista della spesa. Per avere una storia ben scritta e che possa comunicare qualcosa ai lettori bisogna quindi ricercare un sottile equilibrio tra realtà e narrazione.

Nessuno ha detto che sia facile…

Gli incompetenti presuntuosi

Stamattina ho letto un interessante articolo di Antonio Sgobba sul’effetto Dunning-Kruger.

E’ un tema interessante e sempre attuale, come Socrate ci insegna: so di non sapere… frase scolpita nella memoria di qualsiasi studente di filosofia, soprattutto prima di un’interrogazione!

E quanti ignoranti presuntuosi incontriamo durante la nostra giornata: a volte ci irritano, a volte ci fanno sorridere nel loro gonfio autocompiacimento.

Eppure Sgobba ci chiede: siamo in grado di definire la nostra ignoranza? Ora, non vorrei sembrare presuntuosa, la solita secchiona che dice di non sapere nulla e poi si lancia in una prestazione da Oscar, ma io ogni giorno sbatto contro la mia ignoranza e questo spesso mi blocca. Nelle conversazioni, nella scrittura, nel lavoro. Ho letto non so dove che è tipico delle donne non parlare se non con cognizione di causa. Evidentemente ne conosco troppe che confermano la regola… in quanto eccezioni.

Solo stamattina ho riconosciuto la mia ignoranza almeno tre volte:

1. pur sapendo chi è un cosplayer non so nulla del mondo che ci gira attorno. Ma lo sapete che in Italia fanno pure le gare? E ci sono amatori e professionisti?

2. ho un serio problema con la stampa in scala dei disegni di autocad. Vado per tentativi. E ogni volta un albero muore.

3. non mi ero accorta che esiste una sezione cultura del Corriere della Sera online. Fustigatemi.

E solo ieri ho scoperto la differenza tra copywriter e art director. E sì che un paio di stagioni di Mad Men le ho viste.

Riflessione finale: la rete ci dà l’illusione della conoscenza. Basta una sbirciata a wikipedia e ti senti un pozzo di scienza. Per cinque minuti. Poi passi a un nuovo dubbio e ti dimentichi la domanda precedente. La velocità della soluzione non ne permette la interiorizzazione.

Magari scrivendoci un post mi rimarrà impresso qualcosa di più.