Nebbia di pianura

La nebbia si è fermata a mezz’aria, simile a una nube umida e pesante, incerta se fermarsi sopra le cime degli alberi o scendere ad abbracciare i campi. Sai già che oltre la linea dei colli il sole splende freddo a illuminare il mare della pianura, mentre qui, sotto, resta un buio grigio e ostile, così diverso dalla nebbia bianca e consistente delle ultime sere, simile a ovatta che va a riempire ogni interstizio, a gomma che cancella i lineamenti del paesaggio e ne modifica i suoni e gli odori.

La nebbia di oggi è alta e disperde desolazione sulle case di periferia. Mentre cammini con passo ostinato nel nuovo anno, le cuffie nelle orecchie, le mani in tasca, senti le particelle d’acqua attraversare i vestiti. Sei sola mentre lasci alle spalle il bar, la chiesa, il campo da calcio, e i passi ti portano attraverso gli ultimi campi, verso l’argine, verso l’acqua che sempre ti chiama.

Solo un paio di giorni fa guardavi un mare simile a un lago, le onde pigre allungate sulla lunga spiaggia, la piccola chiesa in punta illuminata dai raggi obliqui del sole, il cielo percorso senza sosta da nuvole lunghe e poi a ciuffi, di un azzurro polveroso che verso sera si è accesso di rosa e arancio, arrossendo insieme al mare.

Oggi invece sei scesa dall’argine, affondando nel tappeto di foglie morbide fino all’acqua stanca, alta, costretta tra arbusti spogli e pareti di erba grigia. La luce e l’acqua si raccontano antiche canzoni, senti la tristezza che afferra le caviglie, la fissi per un lungo istante e poi te ne allontani.

Un piccolissimo pettirosso saltella tra i rami bassi, il cuore di ruggine appena visibile; due scoiattoli grigi attraversano la strada a scatti; uno stormo di piccioni si alza insieme da un campo in completo silenzio o forse è solo la musica che copre ogni rumore, che detta il passo, che solleva il cuore.

Manca tra le case desolate il profumo del calicantus, le gemme stanno ancora strette sui rami, e ti perdi tra le strade chiuse e i capitelli votivi, l’argine lasciato alle spalle, in un quartiere di piccoli lotti con sgraziati condomini e piccole case dai giardini dimenticati, il selciato sconnesso, le murette storte.

Ogni tanto in un giardino resiste il rosso di un bocciolo di rosa, ogni profumo perso nello sforzo del colore. Le luci natalizie riposano spente in un mezzogiorno che sembra sera, decorazioni e vecchi fiocchi azzurri appassiscono nel silenzio, una donna su un balcone parla al telefono, in mano una sigaretta.

Ritrovi la strada di casa, tortuosa come una biscia lasciata libera in un campo, ti fermi al cimitero militare, attraversi la terra fangosa che risucchia il passo, cerchi ancora storie. Nel registro dei visitatori ci sono solo gli ultimi due mesi: Mestrino, Svizzera, Australia, Vicenza. Scorri i pensieri di chi si è fermato ma non lasci il tuo. Ci sono i nipoti di uno dei caduti, cerchi il suo nome nel registro del cimitero, trovi la sua tomba, ventiquattro anni, pilota della RAF, abbattuto in volo. Pensi al tempo, alle tue cure. Nessuna grandezza ma ancora vita. Torni a casa.

Carinzia, una valle incantata

Ritorno a parlare di viaggi, anche se più che un resoconto dettagliato vorrei lasciare qualche impressione, per parole e immagini, di una regione che mi ha saputo stupire con la dolcezza dei suoi paesaggi e l’accoglienza gentile delle persone incontrate.

La Carinzia è una regione austriaca, posta al confine con Italia e Slovenia. Se l’anno scorso abbiamo passato dei bellissimi giorni nel parco del Triglav, scendendo ogni tanto fino alle acque del lago di Bohinj, quest’anno siamo passati dall’altro lato delle Dolomiti e abbiamo percorso duemila chilometri in esplorazione, tenendo come punto fisso la stessa casetta posta sul fianco di un alpeggio, tra fattorie e prati verticali, a venti minuti di auto dal primo paese. Se dal punto di vista logistico si è rivelata una scelta piuttosto scomoda, siamo stati ripagati dalla bellezza e dalla serenità di questo vecchio rifugio da caccia, restaurato e ingrandito, semplice e accogliente, pronto a confortarci nelle fredde serate estive mentre giù a valle il caldo spadroneggiava.

Il nostro buen retiro tra prati e boschi

Come sempre non sono riuscita a vedere tutto quello che avrei voluto: ho dovuto dimenticare le giornate fitte di visite e arrendermi a qualche giornata di ozio, reso veramente tale anche dalla quasi completa mancanza di copertura telefonica. Senza televisione, senza cellulare, ma con qualche libro, tanti pennarelli e giochi, abbiamo passato delle ore preziose tutti insieme. Non ho scritto nulla, la convivenza forzata a tutte le ore non mi ha lasciato momenti di raccoglimento sufficienti a comporre poco più di qualche post su Facebook, lanciato nell’etere in attesa di essere caricato.

Ho letto però ben tre libri: Bestiario di Cortazar, su invito di un’amica scrittrice; La nostalgia felice di Amelie Nothomb e La scrittice criminale di Marina Morpurgo. Unico elemento in comune le dimensioni contenute, adatte al viaggio, le densità e le atmosfere invece completamente diverse e feconde di suggestioni tra le più distanti tra loro; il solito disordine di lettrice che mi caratterizza, curiosa di assaggiare e mescolare piatti diversi e discordanti tra loro, sempre nella speranza di scoprire nuove assonanze.

La Carinzia è una valle che si distende pressapoco da est a ovest, abbracciata a nord e sud da alte vette, e nel suo ventre verde scorre sinuosa e placida la Drava, fiume che avevo già incontrato a Maribor e che ho salutato con piacere. Il paesaggio è pulito e curato, attraversato da lame di luce che come fari di scena portano l’occhio ad apprezzare i diversi frammenti che lo compongono: i paesi più piccoli e poi le città più grandi, si addensano attorno agli alti campanili a cipolla che punteggiano la pianura e i versanti; la campagna si allarga docile, verde d’erba, gialla di girasoli, i lembi tenuti insieme da siepi scure o bordure fiorite, dai rosa e rossi e gialli che colpiscono l’occhio come punti luminosi di un quadro di Seurat. Ogni tanto un filare di alberi lungo un corso d’acqua, o un vecchio albero da frutto in mezzo alla campagna, interrompe la successione di fazzoletti verdi e marroni. D’improvviso ci si accorge del binario che scorre lungo tutta la valle, le motrici rosse della OBB con i loro carri merci o i piccoli treni passeggeri colorati a due o tre vagoni aumentano la sensazione di trovarsi in un plastico, ideato da una mente operosa e mite, che accanto alle fattorie, alle segherie, ai capitelli affrescati posti a ogni crocicchio, si ricorda di aggiungere monoliti industriali: una cava, un’industria siderurgica dalle infinite luci notturne, complessi imponenti appena usciti dalla scatola del modellista. E così i cartelli in tedesco si susseguono alle scritte gotiche dipinte a caratteri cubitali sui muri, un segno grafico calcato e infantile ritorna nei segnali stradali e in certe insegne, tutto è votato all’efficienza e sembra impossibile che le migliaia di gerani che ingentiliscono i legni scuri delle case e delle fattorie non lascino cadere a terra nemmeno un petalo e che anche gli intonaci aggrediti dal tempo si polverizzino con compostezza e ordine teutonico.

A tutto questo si contrappongono le innumerevoli pozze d’acqua che specchiano il cielo e le nuvole, che corrono veloci e giocano con i raggi del sole, regalano piogge torrenziali improvvise e arcobaleni che trasportano in una dimensione mitica. E se lo sguardo, stanco delle dolci curve della valle che si increspano in tonde colline punteggiate di castelli e campanili, si volge ad altitudini maggiori, viene accolto da infiniti boschi, fitti e vivi di scoiattoli e cerbiatti, mentre le mucche pascolano su prati spazzolati, tirati con il righello, piccoli riquadri strappati al bosco, una cucitura di cespugli, di rovi o di fiori odorosi, e sempre una strada sottile che attraversa discreta, buia, una lingua di asfalto appena percepita e che si confonde mentre segue il fianco della montagna e va a morire sulla soglia di una fattoria lontanissima, antica e moderna allo stesso tempo, dove non mancano mai un trattore e un piccolo missile lucente per il latte, si cuoce un pane duro e odoroso nei forni a legna, illuminati con la torcia, si fa un burro giallo e pastoso, un latte che sa di erba e di felicità.

In dieci giorni abbiamo visitato Villaco, Spittal an der Drau, Milstatt, Klagenfurt am Worthersee, Sankt Veit an der Glan; siamo stati alla collina dei macachi ad Affenberg e abbiamo visto da vicino i rapaci all’Adler Arena del castello di Landskron; siamo saliti a 1875 m per vedere il parco di Heidi, tra pini cembri e prati, regno delle marmotte; dall’Ossiacher See abbiamo raggiunto con la cabinovia e poi la seggiovia il comprensorio sciistico di Gerlitzen a 1911 m dove in una giornata tersa abbiamo potuto affacciarci su un panorama spettacolare, splendente di cime e laghi. Siamo risaliti lungo un orrido fino alle cascate di Ferlach, abbiamo riposato e fatto il bagno nelle acque limpide del Millstatter See, abbiamo visitato musei della scienza e della tecnica ed etnografici; abbiamo mangiato un numero spropositato di panini e di ciambelle rotonde con uvetta e crema di nocciola; ci siamo spiegati con qualche parola di inglese per compensare il tedesco quasi inesistente e abbiamo risolto con grandi sorrisi e il linguaggio internazionale dei segni.

Ho scattato tante foto, come sempre, appunti per immagini; eppure sento di dover tornare, c’è ancora molto che non ho afferrato, capito, e mi resta come un senso di incompiuto, come se avessi ancora molte pagine da sfogliare per arrivare alla fine di questo viaggio.

Cibiana sotto la neve. Magia dolomitica.

Cibiana sotto la neve. Magia dolomitica.

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Tutti noi abbiamo un luogo del cuore, il mio è Cibiana di Cadore.

La neve di questi giorni ha dato nuove sfumature alla luce e all’aria, ha reso ancora più magico questo piccolo paese che tanto sa darmi ogni volta che torno.

Invece di scrivere tante parole, vorrei esprimermi ancora una volta per immagini, sperando di riuscire a trasmettere le emozioni che provo a camminare tra queste antiche case, nella ancora più silenziosa valle, placida sotto la neve.

Il cielo è in continuo cambiamento, luminoso – anche di sera – oppure opaco di neve. Si colora di azzurri, ora intensi ora pastellati. I tramonti accendono l’aria e le montagne, dipingendole con sfumature rosse e rosa.

 

Ci sono mattine così terse in cui le montagne si ammantano di lucente vapore.

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La neve ricopre i tetti, gli stretti passaggi tra le case. Si accumula contro i muri, si ammassa sui pendii.

 

I murales assediati dalla neve emergono potenti nel paesaggio monocromo.

 

Il tempo atmosferico si diverte a mutare aspetto, accendendo e spegnendo i colori nel volgere di pochi minuti.

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Il paesaggio vira bruscamente sul bianco e nero, la neve comincia a cadere ancora, silenziosa.

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Tra queste case e queste motagne ritrovo la mia pace.

E vorrei trasformarmi in animale del bosco per non dovermene mai separare.

Colori d’autunno: quando non scrivo, scatto.

giardino privato Marostica

In questo ultimo mese sono stata sotto pressione. Eletta badante dell’anno, o almeno di casa mia, il poco tempo rubato al dovere l’ho sfruttato per tenermi al passo con gli scratchreaders* nella lettura di IT di Stephen King e, invece che scrivere poche righe sconnesse, mi sono concentrata sulla fotografia. Purtroppo la reflex è sempre lì nella sua custodia, troppo delicata e ingombrante da portarsi appresso insieme a una bimba piccola, e i miei appunti di autunno sono semplici foto scattate con il cellulare.

Il lato positivo è che la mia pagina di Instagram si è distaccata almeno un poco dalla monotonia di selfie/gatti/figliola e ha ripreso colore. Foglie in carenza di clorofilla e cieli azzurri si sono imposti in tutta la loro bellezza autunnale e non me la sono sentita di far mancare loro il mio omaggio.

Il mio bottino autunnale per ora è questo, istantanee colte tra una corsa e l’altra, perché la bellezza non si nasconde mai, basta vederla.

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* scratchreaders: è un gruppo di lettura piuttosto sui generis che si ritrova tra  Facebook e twitter, capitanato da Maria di Biase (autrice del blog Scratchbook). Mi sono aggiunta da poco ma la trovo una piacevole compagnia, dai gusti letterari mai banali e ricca di interpretazioni e spunti.