Il ristorante dell’amore ritrovato – Ito Ogawa / cibo e sentimenti

il ristorante dell'amore ritrovato

La mia lista dei desideri dei libri da leggere ha raggiunto una lunghezza tale da risultare imbarazzante e in totale contrasto con il tempo che riesco a dedicare alla lettura. Finisce così che appunto titoli un po’ ovunque, su foglietti di carta, sul cellulare, sulle note del pc in ufficio, nelle bozze delle email. Poi li dimentico, li perdo e non mi ricordo più perchè mi avessero colpito.

Non so quando, avevo letto una bella recensione di “Il ristorante dell’amore ritrovato” di una scrittrice giapponese, Ito Ogawa. Qualche tempo fa l’ho trovato in offerta in libreria, l’ho riconosciuto e me lo sono portata a casa, destinato a tempi migliori. Non mi ricordavo più di cosa parlasse, il titolo lo trovavo un po’ pretenzioso ma avevo bisogno di una lettura dolce e ho iniziato a sfogliarlo. Subito mi sono ritrovata di nuovo in Giappone, in un ambiente decisamente più classico rispetto a quello dell’articolo precedente ma ugualmente appassionante.

La protagonista è un’aspirante cuoca che da piccola aveva lasciato il suo paese nelle montagne per vivere con la nonna nella grande città. La narrazione inizia quando Ringo, tornata a casa dal lavoro, trova l’appartamento vuoto: il suo ragazzo l’ha lasciata e si è portato via tutto quello che avevano. E’ un trauma fortissimo che lascia pesanti conseguenze sulla ragazza che si vede costretta a ritornare dalla madre nonostante il loro pessimo rapporto.

Un aspetto che mi ha colpito molto di questo romanzo è la dolcezza: nonostante i temi forti, i colpi di scena e gli eventi drammatici, il tono si mantiene sempre equilibrato, lieve, senza nessuna concessione al patetismo. Un’eleganza spirituale che è cifra stilistica di tanti romanzi ambientati in Giappone e che mi fa amare molto questa cultura. Al contrario di quanto ci viene proposto in televisione o nei giornali, i sentimenti e le emozioni non devono essere urlati o esibiti sfacciatamente per essere sinceri. Coltivarli nel proprio cuore e mostrarli solo alle persone giuste e nei momenti giusti non toglie forza ai nostri sentimenti, li rende addirittura più preziosi.

L’amore ritrovato del titolo non è quello di Ringo per il suo fidanzato uccel di bosco, ma un sentimento più alto che riguarda il cuore di più persone. Non voglio svelare troppo della trama perchè è un libro che va gustato pagina dopo pagina, ricetta dopo ricetta. Perchè anche qui si parla di cucina, come va tanto di moda, ma ogni ricetta è funzionale alla trama e vi assicuro che non mi era mai capitato prima di commuovermi leggendo la descrizione di un pranzo. Ito Ogawa è capace anche di questo.

“Il ristorante dell’amore ritrovato” di Ito Ogawa, titolo originale Shokudô Katatsumuri (2008), Neri Pozza editore, 191 pagine.

Col nostro sangue hanno dipinto il cielo (Eleonora Caruso)

 

col nostro sangue hanno dipinto il cieloUn racconto bellissimo.

Potrei finire qui la recensione del racconto pubblicato questa settimana da Speechless Magazine perché ho già detto tutto. Ma non sono convinta che sia sufficiente per farvelo leggere, magari avessi tale autorità in campo letterario! Mi tocca quindi impegnarmi nonostante l’ora postprandiale per rendere merito a un’ottima scrittrice e ad una redazione che non sbaglia mai un progetto.

Ho iniziato a leggere stanotte, verso le quattro di mattina, in preda a una fastidiosa insonnia. Sono rimasta subito colpita dallo stile della Caruso: immagini potenti e originali che si innestano su una scrittura semplice ed efficace. Il racconto procede per scene, brevi dialoghi tra il protagonista e i personaggi che popolano il suo mondo, in una Tokyo moderna e asettica in cui la disperazione viene annegata nei piaceri, sperando di allontanare almeno per un poco una solitudine che schianta le anime più sensibili.

Le suggestioni sono infinite, per chi come me è cresciuto ad anime e manga, ritrovo il Giappone alienante di Murakami ma senza il potere salvifico della natura e della tradizione. L’equilibrio è spezzato e i ragazzi e le donne che appaiono tra le pagine sono fantasmi tristi, piegati a un destino che hanno accettato senza capire.

E’ un racconto profondamente malinconico, ma non tragico. Piccole scintille di luce trapelano in mezzo alla neve, alimentando la speranza di un riscatto, o almeno di uno strappo nella rete che dia la forza di aprire gli occhi su un nuovo giorno.

Per chi non è pratico di atmosfere nipponiche segnalo l’utile dizionario al termine della pubblicazione: non credo sia necessario per godere della lettura, il contesto è talmente ben costruito da rendere comprensibili anche i termini più tecnici, ma è interessante per approfondire alcuni aspetti della cultura giapponese.

Se vi ho invogliato alla lettura, pur senza raccontarvi trame o inserendo citazioni, il racconto lo trovate qui, potete leggerlo online o scaricarvelo. Gratuitamente. E’ non è poco per un prodotto di questa qualità.

Aspetto la vostra opinione!

 

La grande onda di Hokusai a Venezia

L’ultima volta che avevo tentato di vedere La grande onda di Hokusai era stato a New York nel 2001. Quando scoprii che era in magazzino per la rotazione programmata delle opere esposte mi misi a litigare con il responsabile di sala: una ragazzina italiana che con le lacrime agli occhi esprimeva in un inglese stentato tutto il suo sdegno per una scelta così scellerata. E avevano pure tutta la serie dei gadget allo shop del piano. Ipocriti! Me ne andai delusissima, sapendo che sarebbe passato molto tempo prima di poter ritornare nella Grande Mela.

Da quel giorno La grande onda è diventata per me un mito, epica e irraggiungibile, nonostante sapessi poco o nulla del suo autore e del significato potente che ha avuto nella storia dell’arte.

Quando qualche settimana fa ho scoperto che sarebbe stata esposta a Venezia mi sono ripromessa di non lasciarmela sfuggire. Per una volta che la montagna va a Maometto sarebbe stupido non andarle incontro, o sbaglio?

Se volete ammirarla anche voi avete tempo fino a domenica 3 novembre. La trovate esposta al Museo di Arte Orientale di Venezia, Sestiere S. Croce 2076. Il museo si trova al terzo piano a Ca’ Pesaro, insieme alla Galleria Internazionale di Arte Moderna. Il biglietto è unico e l’orario di visita è dalle 10.00 alle 18.00. Dalla stazione dista una quindicina di minuti a piedi, cercatevi Ca’ Pesaro su google maps, non è difficile da raggiungere.

ingresso Ca' Pesaro

ingresso Ca’ Pesaro

La visita della mostra e del museo vi prenderanno non più di due ore e avrete poi tutto il tempo di godervi un pomeriggio veneziano. Se andate di sabato, vi consiglio di mangiare al mercato del pesce, vicino al Ponte di Rialto. Con 8 euro vi daranno un piatto di frittura di pesce di giornata e un calice di prosecco. Delizioso!

Sazi e leggermente brilli lasciatevi perdere tra campi e calli. Per quanto sia una città turistica, Venezia sa mostrarci ogni volta nuovi piccoli tesori, basta affidarsi all’istinto e lasciare i percorsi segnati, ingombri di persone e cianfrusaglie.

Ricordatevi però di indossare un paio di scarpe comode perchè la Serenissima non perdona e vi vieto severamente di togliervi le calzature sul treno del ritorno!

Volete sapere qualcosa in più della mostra? Leggete qui. L’esposizione vera e propria occupa solo una stanza del museo e, sorpresa, la grande onda in realtà… è piccola, solo trenta centimetri di lato. La stessa sorpresa l’ho avuta quando ho visto La ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer: è minuscola. Eppure la potenza che esprimono queste opere d’arte è straordinaria, un concentrato di energia.

La collezione permanente del Museo di Arte Orientale è veramente bella: sono rimasta affascinata dalla ricca collezione giapponese, una delle più importanti a livello europeo del periodo Edo. Armature da parata, spade, ceramiche, stampe, lacche, piccoli oggetti preziosi e raffinati.  C’erano almeno una decina di pezzi esposti che mi sarei portata volentieri a casa. Prossimi obiettivi? Acquistare un poster della grande onda da mettere in camera e trovare una riproduzione delle 36 vedute del monte Fuji di Hokusai: me ne sono innamorata. Come sempre quando si parla di Giappone.

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