
In un’isola deserta, collocata in uno dei due tropici, sconta il suo esilio una strana figura di dittatore. Personaggio interessante, di sicuro carisma, la sua voce ci coinvolge in un racconto che alterna la memoria del passato alla vita presente, trascinata in una enorme villa coloniale dove si trova confinato con la sola compagnia di un servitore, Fernando, e un medico personale.
Paolo Zardi in Memorie di un dittatore torna di nuovo alla forma del romanzo, e lo fa stavolta con una voce ancora più matura rispetto alle opere precedenti, confermando la sua capacità di migliorarsi e innovarsi a ogni nuova prova letteraria. Quello che rimane costante, e che costituisce la cifra del suo talento, è la capacità di osservare l’umanità e saperla restituire in tutte le sue sfaccettature, dalle più generose a quelle più meschine.
Ci sono tre aspetti che mi hanno colpito particolarmente durante la lettura:
- l’ironia e il gusto per il grottesco: sono due elementi fondativi di tutta la produzione di Zardi e rendono la lettura terribilmente piacevole e divertente, dando il giusto ritmo alla narrazione senza mai farle perdere di tensione.
- la presenza di un forte sottotesto letterario, ricco di citazioni, rimandi e allusioni, a volte evidenti, altre più nascoste, ma sempre funzionali alla narrazione. In una recente presentazione del libro, Zardi ha ammesso di aver citato almeno quaranta autori diversi, tra i quali ho riconosciuto Dante, D’Annunzio, Montale, Tolstoj, Flaubert, Shakespeare e Majakovskij. Non ci potevo credere, ma per sua ammissione all’elenco sfugge Nabokov, nonostante sia uno dei suoi maggiori riferimenti letterari.
- l’analisi del potere, riassunto in una figura emblematica che ce ne mostra il volto seducente e allo stesso tempo feroce, intelligente ma con una cultura superficiale e raffazzonata. Questo dittatore senza nome, gradasso e esagerato, analista attento degli appetiti delle folle, amorale e incapace di empatia, è la summa dei dittatori del passato, li rappresenta tutti senza incarnarne nessuno nello specifico. L’abilità dell’autore sta nello stare sempre sul filo tra la simpatia che naturalmente suscita in noi la voce narrante e la capacità di voltarla in disgusto e orrore un attimo prima che questo anfitrione convinca anche noi della sua giustezza.
Ripensandoci, non è la prima volta che Paolo Zardi si cimenta nella narrazione di un personaggio scorretto con l’intenzione di connotarlo in modo che risulti non del tutto odioso ma quasi simpatico, penso soprattutto al protagonista di “Tutto male finché dura” edito da Feltrinelli nel 2018, ma anche al capo della Ki-Kowy, Kapoor, ne “L’invenzione degli animali” uscito per Chiarelettere nel 2019, e a tanti protagonisti dei suoi racconti, molti dei quali raccolti in “La gente non esiste” della Neo edizioni.
In Zardi c’è il divertimento di rovesciare l’assioma brutto-cattivo-antipatico, ma c’è soprattutto la volontà di evidenziare come la realtà sia molto più complessa delle categorie nelle quali vorremmo imbrigliarla e, anche, la preoccupazione di tenere alta la nostra attenzione su come sia facile cadere nella seduzione dell’amoralità e del potere. Sembra dirci, alla fine, che quello che ci costa più fatica è rimanere umani e che in fondo l’amore è la sola cosa che conta.
Peccato, ho pensato un attimo prima di andarmene. Avevo calcolato tutto, tranne l’amore.

Memorie di un dittatore, edito da Giulio Perrone editore, febbraio 2021, 300 pagine.