Acari di Giampaolo G. Rugo. Luminosa malinconia settembrina.

Se dovessi scegliere il mese più adatto per leggere Acari, esordio letterario di Giampaolo G. Rugo, sarebbe settembre, con le giornate dorate che invitano alla riflessione, la cesura tra la promessa dell’estate e i doveri dell’autunno, la saudade che si confonde con il pulviscolo dell’aria.

Si tratta di racconti che si susseguono dolcemente, alternando prima e terza persona, con pennellate dialettali più o meno intense, personaggi che si affastellano uscendo dallo sfondo per affacciarsi in primo piano. Ci si abbandona fiduciosi alle storie semplici e appena improbabili di una Roma intima, fatta di ragazzi, donne e uomini che intrecciano le loro vite in un tempo indefinito, ora passato ora presente, in un andirivieni appena accennato.

Il primo racconto, brillante, parla di un inganno: una donna centenaria che ogni anno festeggia il suo compleanno in una trasmissione televisiva, fingendosi svampita e fragile, in una farsa concordata su cui si regge un copione rodato. Si susseguono poi le storie di ragazzi delle superiori che vanno a trovare un amico in ospedale; un padre e un figlio che vanno a scegliere i regali di compleanno in un grande centro commerciale; storie di calcio, di aspirapolveri, di cimeli nazisti; Gimbo e Mario e Franco, e su tutti Claudia, che si imprime nella retina come la coda di una cometa.

Il sole è sulla linea del mare, poi, come sempre, tramonta. Restano ancora un po’ a guardare l’arancio infuocato del cielo diventare blu scuro. Prima di rincasare deviano sulla spiaggia ormai buia, camminano sulla battigia stando attenti a non bagnarsi, fino a quando le luci del pontile sono lontane. Si dispongono uno a fianco all’altro davanti al mare, si slacciano i pantaloni e pisciano. All’orizzonte si vedono le luci dei pescherecci usciti al calar della sera. Chissà cosa pensano d’inverno, i pescatori, quando è notte e il mare è nero e freddo.

Alla sorpresa, all’ironia, alla leggera cattiveria che sembra connaturata alla vita stessa, Rugo sa sovrapporre un sentimento malinconico, all’inizio appena accennato e che poi cresce durante la lettura, lasciandoci feriti a ogni racconto, increduli di avergli permesso di toccare sentimenti così intimi da risultare a volte sconosciuti persino a noi stessi.

Trasforma l’amarezza in uno struggimento così tenero che è inutile opporre resistenza.

Quando poi, dopo pochi racconti, ci si accorge di essere di fronte a un vero romanzo di racconti, dove ogni brano è un tassello del mosaico che abilmente l’autore compone sotto i nostri occhi, lì esplode l’ammirazione per Rugo e le sue doti narrative, che non hanno bisogno delle stampelle di artifici o fuochi artificiali ma si affidano ai personaggi, alle loro voci, a un’ambientazione discreta e pervasiva.

Acari è stata una bellissima sorpresa, di quelle a cui ci hanno abituato i tipi di Neo, capaci di regalarci sguardi nuovi su sentimenti eterni.

Acari (2021) di Giampaolo Rugo. Neo edizioni, 2021, 192 pp. Racconti.

Senza rete

Per circostanze varie ed eventuali questa settimana, inaspettatamente, sono a casa dal lavoro. Nulla di programmato, nessun preavviso, cerco di organizzare velocemente tutte le attività che non riesco mai a svolgere normalmente.

All’inizio soltanto doveri. Mi deprimo. Depenno e penso.

Cosa amo fare? Leggere! Ma non ho la mente abbastanza sgombra. Scrivere sul blog! Non funziona la connessione di rete. Viaggiare, andare per mostre, respirare l’aria dei boschi di montagna. Non posso allontanarmi troppo da casa, ho due micie e un marito a cui voglio dedicare le mie cure.

Per fortuna ieri è uscito il sole, ho affrontato la mia indolenza e sono uscita. Macchina fotografica al collo, direzione il centro città. Ho fotografato, camminato tanto e fatto una piccola incursione in libreria.

Felicità.

Da poche ore la connessione di rete è tornata, le gatte pisolano indolenti, mio marito si dedica al bricolage. Ho letto molto e ho letto bene. Tra poco aperitivo e cena fuori o forse cederemo alle lusinghe della nostra casina accogliente. L’ansia è accantonata, sempre in agguato insieme alla sua sorella malinconia. Forse fanno parte di me. Rendono tutto più fragile ma immensamente più bello. Anche se si tratta solo di un tranquillo pomeriggio di quiete domestica.

Bye Bye S2

ponyo

Vorrei rivolgere un affettuoso saluto al mio amato cellulare, rapito nella notte di giovedì e mai più ritrovato. A chi ha voluto prenderlo con sè non auguro nulla. Mi ha fatto soffrire, e non solo nel portafogli, ma si sa che di ladri e puttane il mondo è sempre stato pieno. Io profondamente ingenua a essermene dimenticata. E forse è proprio questo che mi fa più male, essere stata raggiunta nel mio piccolo mondo perfetto e ghermita mentre mi sentivo al sicuro, a cena con amici. Pazienza, papa nuovo, governo nuovo, troverò anche uno smartphone nuovo. Perchè ormai mi ci sono abituata e tornare indietro non è più possibile. Perchè la geek che celo in me soffre ogni volta che non può andare in rete a controllare quella parola, quella idea, quella musica che mi è appena venuta in mente. Perchè non posso fotografare gli aspetti della realtà che mi colpiscono e riuscire così a soffermarmici sopra.

Non so quale divinità mi ha fatto fare un back up delle foto un paio di settimane fa. Solitamente non mi viene mai in mente di farlo. Ringrazio e a buon pro. Se avessi fatto anche il salvataggio della rubrica sarebbe stato meglio. Imparate dai miei errori e dopo avermi letto correte a sincronizzare tutto.

La rabbia è passata, l’ansia pure, la malinconia resta.

Bye Bye S2, è stato bello viaggiare insieme a te.

Further on (up the road)

Sono ormai due giorni che gira in loop sulla mia autoradio e nella mia mente.

Una canzone malinconica, struggente, che si adatta perfettamente al mio stato d’animo di questi giorni. La voce di Cash sembra tagliare le tenebre con l’accetta. Ruvida e cupa. Un salmo laico di chi va incontro al suo destino. Senza paura. Nemmeno della morte.

Where the road is dark and the seed is sowed
Where the gun is cocked and the bullet’s cold
Where the miles are marked in the blood and gold
I’ll meet you further on up the road
 
Got on my dead man’s suit and my smilin’ skull ring
My lucky graveyard boots and song to sing
I got a song to sing, keep me out of the cold
And I’ll meet you further on up the road.
 
Further on up the road
Further on up the road
Where the way is dark and the night is cold
One sunny mornin’ we’ll rise I know
And I’ll meet you further on up the road.
 
Now I been out in the desert, just doin’ my time
Searchin’ through the dust, lookin’ for a sign
If there’s a light up ahead well brother I don’t know
But I got this fever burnin’ in my soul 
 
Further on up the road 
Further  on up the road 
Further on up the road 
Further  on up the road 
 
One sunny mornin’ we’ll rise I know
And I’ll meet you further on up the road…