
Copertina neoclassica, un ritratto della cerchia di Jacques-Louis David, una giovane donna dall’aria pensierosa guarda di sbieco, fuori dalla cornice, qualcosa che possiamo solo immaginare. Vestita di bianco, i capelli sembrano fuggire dall’acconciatura, le spalle sono cadenti, il seno appena velato da un tessuto dalla trama leggera. Il titolo è evocativo, sembra un verso di qualche opera teatrale e, forse più di qualcuno, sarà stato sviato da questa combinazione elegante dal sapore di fine Settecento.
Il mio anno di riposo e oblio è invece un romanzo pubblicato nel 2018 e ambientato a New York agli inizi del nuovo millennio, con le Twin Towers che si stagliano ancora sullo skyline della città.
Della metropoli descritta da Bret Easton Ellis in American Psycho, mia lettura precedente a questa, mancano gli hippie e la violenza, restano invece la superficialità, la difficoltà di comunicare e il disagio mentale, elementi che sembrano intrinsechi di un luogo in cui si raggrumano ambizioni e desideri.
La protagonista è una giovane wasp, ricca, bianca, colta, magra e biondissima. Lavora in una galleria d’arte ma non ha bisogno di uno stipendio: alla morte dei genitori ha ereditato abbastanza per non dovere fare nulla. Le basi per il successo e la felicità ci sono tutte, pensiamo noi, e invece no. La nostra narratrice, di cui non sapremo mai il nome, è sopraffatta dalla vita. Il suo unico desiderio è sopprimere ogni pensiero, ogni emozione e dormire ininterrottamente, nella speranza di potersi svegliare nuova al mondo, pulita da ogni scoria.
Forse è capitato anche a voi, in periodi di forte stress, di essere catatonici, vittime di un sonno che vi aggredisce non appena vi fermate. Di fronte a un trauma, a una fatica che non ci sentiamo in grado di affrontare, a una consapevolezza troppo ingombrante da ingoiare, il nostro sistema entra in modalità di riposo, congela ogni funzione non vitale, elabora i dati, in attesa di riavviarsi o spegnersi del tutto.
La nostra protagonista passa gran parte della sua giornata a dormire e a guardare vecchi film in videocassetta. I suoi eroi sono Harrison Ford e Whoopi Goldberg. Si nutre di caffè e salatini a forma di animale. Ma non le basta. Vuole dormire di più, vuole prendersi un anno di riposo e oblio. Cosa vuole dimenticare? Da cosa fugge?
Reva era come le pasticche che prendevo. Trasformavano tutto, persino l’odio, persino l’amore, in lanugine che potevo soffiare via. Ed era esattamente quello che volevo – le mie emozioni che passano come fari che brillano rapidi attraverso una finestra, mi superavano illuminando qualcosa di vagamente familiare, poi svanivano e mi lasciavano di nuovo nel buio.
La sua voce non è mai patetica, piuttosto auto ironica, a tratti sprezzante quando giudica la sua unica amica Reva o il circo dell’arte in cui si è trovata suo malgrado. Guarda con condiscendenza anche alla dottoressa Tuttle, la psichiatra che ha trovato sull’elenco telefonico e che, completamente disconnessa dal suo ruolo, le prescrive qualsiasi tipo di medicinale e crede a tutto quello che le viene detto, tanto poi lo dimenticherà regolarmente alla seduta successiva, con una leggerezza disarmante.
Il mio anno di riposo e oblio è un romanzo capace di infondere fastidio e tenerezza. Ci fa conoscere personaggi scorretti, antipatici, egoisti e ne mostra le fragilità, le contraddizioni. Come quelle persone che a pelle trovi insopportabili e alle quali poi non puoi fare a meno di affezionarti. Non a tutte però, Trevor devo dire che rimane intollerabile dall’inizio alla fine, l’ex fidanzato lupo di Wall Street del tutto incapace del pur minimo gesto di empatia.
La scrittura mi ha ricordato molto Ellis, sia per i dialoghi, sia per l’attenzione maniacale ai dettagli, alle marche, ai farmaci; la descrizione minuziosa di un mondo e delle sue ombre. La tristezza è soffocata dall’ironia, dal sarcasmo. I mesi passano e dal 2000 al 2001 aumentano le ore di sonno, arrivano black out della mente, intere giornate perse eppure vissute, prima in giro per la città, poi nel chiuso di un appartamento svuotato. Fino ad arrivare a giugno e infine a settembre e chiudere con una caduta, un tuffo a occhi aperti.
