La famiglia degli altri di Elena Rui

La famiglia degli altri è il romanzo di esordio di Elena Rui, uscito per Garzanti a febbraio 2021.

Come suggerisce lo stesso titolo, il testo affronta il tema della famiglia utilizzando un punto di vista molto originale, portando agli estremi un’istituzione in continua trasformazione ma legata ancora a un’immagine codificata e fissa, che non ammette scarti, se non sotto forma di segreti ben custoditi (il silenzio è il cemento di molte famiglie, dirà a un certo punto uno dei personaggi chiave).

Non si tratta però di un romanzo a tesi, non è un saggio, ma una storia ben congegnata, che si sviluppa nell’arco di pochi giorni ed è ricca di colpi di scena: Marta, una giovane donna con una figlia piccola e un rapporto complesso con il marito Antoine, si trova a dover rientrare a Padova per il funerale della nonna paterna Ada. Nella città d’origine, nel corso di pochi giorni, si confronta con diverse persone appartenenti al passato, tra cui un vecchio amore mai dimenticato, Alberto. Si tratta di avvenimenti semplici solo all’apparenza: Elena Rui riesce infatti a dare profondità a ogni passaggio rendendolo simbolico; gioca con la dilatazione offerta dalle continue riflessioni della protagonista che oscillano tra uno sguardo lucido e spesso molto ironico sulla realtà che la circonda e la profonda crisi esistenziale che la scuote, alimentata dagli studi sull’esistenzialismo francese (la coppia Sartre-Beauvoir rappresenta il fil rouge della narrazione), dal suo essere straniera sia a Parigi sia a Padova, dall’appartenere a una famiglia di origine e a una nuova famiglia complesse nelle loro dinamiche interne.

Mentre procediamo con la lettura è come se Marta si rifugiasse nel suo iper-intellettualismo per non sentire emozioni che non sa prevedere e organizzare. Ma non è questa la possibile soluzione al suo disorientamento, e infatti il rapporto col marito Antoine, che si basa su una risonanza di pensiero, su un dialogo costante e stimolante che appaga completamente Marta sul piano intellettivo, si fa insufficiente a colmare vuoti che appartengono più alla parte oscura, del desiderio, dell’autoaffermazione. Il loro matrimonio, che vorrebbe aspirare a essere un rapporto molto simile a quello che esisteva tra Beauvoir e Sartre, un patto intellettuale che sopravvive al tempo e all’erosione della passione, si infrange di fronte all’istituzione della famiglia, alla presenza di una figlia che determina nuovi ruoli da aggiungere ai precedenti: non più uomo e donna, ma anche padre e madre. E la maternità assume un ruolo talmente ingombrante da mettere in discussione fino quasi a far implodere il loro patto di coppia. Il funerale della nonna diventa così pretesto per allontanarsi, fisicamente e mentalmente, da una situazione di stallo e lasciare spazio ad altri possibili modi di determinarsi.

Si affianca così nella narrazione il punto di vista di Antoine, un uomo molto colto e simpatico, ma che troviamo incapace di seguire Marta nella sua frantumazione e ricerca di evoluzione: è bloccato infatti dal nuovo ruolo di madre della compagna, non lo trova più conciliabile con l’idea che aveva di lei e permette a questa nuova condizione di appiattire il loro rapporto.

No, non lo stava annoiando, lo stava divertendo. Lo stava anche rassicurando, perché si rendeva conto che Marta era sì una donna seducente, ma non tutti sarebbero stati in grado di starle accanto, non come lui: bisognava arginarla, contenerla, calmarla, rassicurarla e… sopportarla.

Un altro aspetto interessante di questo romanzo è il continuo gioco di specchi tra l’autrice e la protagonista, con riferimenti che sembrano suggerirci di essere di fronte a un racconto autobiografico per poi passare bruscamente a forti prese di posizione in senso opposto:

I miei personaggi sono alter ego di persone reali che faccio agire in contesti immaginari o viceversa.

Si tratta di una difficoltà in cui spesso può trovarsi chi scrive: il timore di essere fraintesi, di inciampare in parallelismi tra l’autore e i personaggi, soprattutto quando si usano elementi del proprio vissuto per far germogliare nuove storie, che nulla hanno a che vedere con la realtà, o spesso ne sono solo possibili forme alternative, recuperate per la loro forza narrativa.

Marta sarebbe stata delusa di saperlo là. Proprio lui, che non aveva mai smesso di incoraggiarla a considerarsi una scrittrice in senso ontologico e non l’incidentale autrice di un romanzetto, stava commettendo l’errore del lettore qualunque, che cerca la verità nel dettaglio biografico.

Leggendo La famiglia degli altri mi sono trovata a sottolineare moltissimi passaggi in cui mi sono riconosciuta o che ho sentito affini, e non solo perché la protagonista porta il mio stesso nome, è di Padova e ha una figlia piccola particolarmente intelligente e indipendente. L’aspetto più profondo e sotterraneo che mi accomuna alla Marta letteraria è un’inquietudine di fondo che la porta continuamente a mettere in discussione i “dogmi della società”, a riflettere su quale significato possiamo dare alla famiglia, alla coppia e alla genitorialità e come si colloca il singolo all’interno di questi insiemi.

“… l’indole di Giulia era un aspetto di cui non riusciva a capacitarsi. Giulia era la personificazione della contestazione, l’espressione più spontanea, più disarmante e più sincera di un intelletto incapace di sottomettersi acriticamente a un’autorità prestabilita […] Fin dal primo istante aveva voluto annunciare e ribadire che non era venuta al mondo per soddisfare le attese dei suoi genitori. E se nel quotidiano questa natura indipendente poteva risultare difficile da gestire, Marta intuiva di non avere il diritto di dolersene perché essere conforme non solo non era un valore in sé, ma, in fondo, riusciva difficile anche a lei.”

A questi temi si affiancano molti altri aspetti interessanti, come il confronto tra una metropoli come Parigi e una città di provincia come Padova, lo sguardo diverso che può avere su entrambe chi ha lasciato la sua casa per iniziare una nuova vita all’estero, l’evoluzione dei rapporti famigliari a seconda delle generazioni, la vita sessuale di una donna giovane, le varie percentuali di verità che si possono concedere alle diverse persone della nostra vita e molti altri a cui non vorrei nemmeno accennare per non togliere forza a questo romanzo, così ricco di idee e spunti, oltre che di riflessioni filosofiche ben amalgamate al racconto. Posso solo dire che nelle ultime pagine del romanzo, Marta troverà la chiave per determinarsi, chiudendo in modo perfetto un percorso che all’inizio sembrava totalmente privo di direzione.

La famiglia degli altri (2021) di Elena Rui (1980 Padova). Garzanti, febbraio 2021, pp 252.

Gita al lago

Gita al lago

Lago parco etnografico RubanoIn un’antica ansa del Brenta, dove prima c’era una cava, oggi c’è un’oasi naturalistica. Un piccolo lago circondato da alti alberi, rifugio di numerosi uccelli, di qualche tartaruga e di chi cerca una natura addomesticata ma sempre affascinante.

Domenica, festa della mamma, mi sono regalata un paio di ore da sola. Ho preso la bici e ho raggiunto il Parco etnografico di Rubano, subito a ovest di Padova. In mente avevo proprio il lago e il periplo delle sue sponde. Un quarto delle rive ricade all’interno del parco, con tanto di sentieri in ghiaia e punti di osservazione, il resto è invece in proprietà privata e il sentiero si fa sempre più stretto fino a diventare una sottile lingua di terra visibile a tratti in mezzo alla vegetazione, esuberante in questa stagione. Ogni tanto si apre una radura, un accesso alle sponde, e quel rumore di foglie mosse può essere un uccello acquatico o un pescatore solitario.

Il lago occupa una superficie di circa 10 ettari e la passeggiata, tra foto e deviazioni, è durata una quarantina di minuti. Non molti ma sufficienti per ritornare a casa stanca e rilassata.

Le foto sono scattate con il cellulare e risentono della scarsa luminosità del crepuscolo ma sono appunti di viaggio più efficaci di tante descrizioni. Quello che non posso condividere è il profumo dolce e penetrante che si diffondeva nell’aria ancora calda di sole e il rumore della radiolina del vecchio turco sdraiato sulla riva.

Note informative

Il Parco etnografico di Rubano è gestito da un’associazione di cooperative sociali, è aperto tutta la settimana, fino a sera tardi, e oltre al lago offre numerosi servizi: la ricostruzione di un casone veneto, sede del museo etnografico; una fattoria didattica; orti sociali; area giochi per i bambini; un forno per il pane e un servizio di ristorazione a km zero. E’ servito da piste ciclabili e ha un vasto parcheggio. Il parco è molto grande e i sentieri sono facilmente percorribili con passeggini (non le rive private del lago).

Mappa parco

 

 

Parco faunistico Valcorba

Parco faunistico Valcorba

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In mezzo alle campagne della bassa padovana, a Stroppare di Pozzonovo, incastonato tra argini e campi, si trova il Parco faunistico Valcorba.

Aperto nel 2000, ospita numerose specie su una superficie molto ampia (200.000 mq), tra viali alberati, prati, specchi d’acqua, strutture in legno e pietra.

Ho piacere di scrivere qualche riga su questo posto perché mi ha colpito positivamente: molto lontano dall’idea di zoo, è più un rifugio dove proteggere, studiare e preservare alcune delle tante specie a rischio.

L’atmosfera è serena e gioiosa, gli animali sono protetti dai visitatori e hanno ampi spazi a disposizione. I viali larghi e ombreggiati invitano a fruire del parco con lentezza, certi di scoprire qualcosa di straordinario ad ogni angolo.

 

 

I bambini sono i padroni incontrastati: tutto è a loro misura, dai più piccini ai grandi. Non solo i servizi (bagni con fasciatoio, aree gioco con scivoli e altalene, caprette con cui interagire più direttamente, nessun pericolo lungo il percorso, tutta l’area accessibile con i passeggini) ma anche l’interazione con gli animali, i cartelli esplicativi semplici ma completi, la possibilità di conoscere tanti animali, di poterli osservare in un habitat il più possibile coerente al loro originario.

La curiosità è reciproca di fronte ai recinti: a volte il pensiero è che siamo noi visitatori una piacevole distrazione per gli ospiti del parco. O un gustoso bocconcino, visti gli sguardi languidi che qualche grosso felino ha lanciato a mia figlia.

E’ un parco che vale la pena di essere visitato. Noi ci siamo stati tutto il giorno, compresa pausa picnic, ma in un paio d’ore si può girare tutto. Fantastico con i bambini, piacevole senza, ottime possibilità di scattare foto interessanti (se non avete figli da rincorrere o appesi al braccio).

Il parco si mantiene da solo, non può ricevere sovvenzioni, quindi andate numerosi e magari potremmo incontrarci perché ho intenzione di tornarci presto.

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Il sito del parco è molto accurato e si trovano tutte le informazioni necessarie per organizzare una visita, oltre a tutto quello che volete sapere sugli animali ospitati.