Bivacco 17 insieme ai ragazzi selvatici Daniele Girardi e Paolo Cognetti.

La nostalgia della montagna è sempre più forte, ancora più in questi mesi di forzata lontananza. L’unica cura è assumerla in dosi omeopatiche, tramite somministrazione quotidiana di immagini, parole e persone che riescono a evocarla in tutte le sue sfaccettature.

Una sera di dicembre mi sono spinta attraverso le nebbie padane per raggiungere Verona e assistere alla presentazione del catalogo Bivacco 17, sulla mostra allestita presso la Galleria La Giarina. Ormai in fase di chiusura (31 gennaio) affianca e contrappone l’opera di due artisti, Daniele Girardi e Claudio Costa, talmente dissimili e lontani da provocare riflessioni e scatenare suggestioni sul senso dell’arte, della materia e del rapporto dell’uomo con entrambe.

Seguo da qualche anno il lavoro di Daniele e nonostante la sua riservatezza e la mia insicurezza (approcciare persone che stimo mi costa uno terribile sforzo fisico ed emotivo) siamo riusciti a creare un prezioso legame di amicizia, basato sul comune amore per la natura e l’arte. Un’amicizia molto più forte e robusta lo lega allo scrittore Paolo Cognetti, presente alla serata per leggere alcuni passi del suo ultimo libro Le otto montagne. E’ stato proprio Daniele con i suoi preziosi suggerimenti di lettura a farmelo conoscere come scrittore qualche anno fa. Solo che lui non si è limitato a leggerlo, ma dopo avergli scritto hanno iniziato a camminare insieme in montagna. Mi sono subito apparsi come un duo perfetto e a distanza di anni, avere l’occasione di vederli finalmente insieme, mi ha emozionato molto e ha confermato la profonda intesa tra questi due artisti.

L’opera principale della mostra, e che le dà il titolo, è il Bivacco 17: la realizzazione site specific di un bivacco, ispirato a quelli lasciati a disposizione dei viandanti con legna asciutta e qualche genere di prima necessità, che Girardi ha incontrato spesso nei suoi viaggi, sia sulle nostre montagne che nei suoi viaggi nelle terre del nord. L’installazione che accoglie il visitatore è abitata da ricordi, frammenti e appunti di viaggio dell’artista. Un diario visuale e materico di quella che per Girardi è la vera esperienza artistica: l’immergersi nella Natura incontaminata, l’esplorazione senza il desiderio di conquista, in cerca di una propria identità in relazione allo spazio selvatico. Il Bivacco 17 diventa così un rifugio accogliente, ambientazione ideale per la lettura di alcune pagine dell’ultimo libro di Cognetti: le parole scorrono veloci, nitide, perfettamente calate nell’ambientazione selvatica e scarna, eppure lucidamente moderna. Finito il racconto, la voglia è quella di stendersi in un sacco a pelo all’interno dell’opera, continuare la lettura e trovarsi a sognare stelle appese sopra boschi e cime sconosciute.

Nelle settimane successive ho avuto modo di leggere Le otto montagne – in maniera discontinua per cause avverse – e mi riservo di rileggerlo ancora, magari nella mia amata montagna, ancora più cara perché meno conosciuta, un po’ come la Grana del romanzo. Leggendo non sono riuscita a districare il piano dell’invenzione da quello reale, così tanti erano i passi che mi suonavano familiari, come se li avessi già sentiti, già letti. Si è quindi creato un cortocircuito tra letteratura, esperienza artistica e racconti ascoltati, lasciandomi una grande nostalgia del Nord, di montagne familiari e nuovi luoghi da esplorare, facendo esplodere come fuochi d’artificio ricordi di sentieri e viaggi, confusi, sovrapposti, eppure bellissimi.

Altro proposito per il futuro è leggere Walden, vita nei boschi di Thoreau, che pare avere una forte influenza su entrambi questi artisti  e su cui continuo ad inciampare da quando mi sono innamorata dell’Alaska e della natura non addomesticata.

Lasciare la città disumanizzata e vivere nella wilderness, contando sulle proprie forze e su pochi solidi legami, è un’utopia che mi affascina e seduce ma che, al contrario di Paolo e Daniele, non ho il coraggio di mettere in pratica. So vivere la montagna come fuga, come rifugio, ma non saprei trasformarla in luogo di vita, sento che contaminerei i miei sogni con le scorie della vita precedente, a valle. Mi accontento allora di collezionare libri e immagini di questi due, quasi miei coetanei, immaginando per un attimo di accompagnarli nel loro camminare, magari tra le mie montagne.

Paolo Cognetti (Milano, 1978). Scrittore. Di suo ho letto finora Manuale per ragazze di successo, Sofia si veste sempre di nero, Il ragazzo selvatico e Le otto montagne. In questo post parla del suo rapporto con Daniele che ha dato anche origine a uno dei suoi racconti.

Daniele Girardi (Verona, 1977). Artista. Negli ultimi anni si è dedicato al rapporto tra esperienza nella wilderness e arte visiva. Attualmente è stato impegnato nel progetto North Way, un ciclo di residenze nelle foreste del nord Europa (qui  e qui il suo diario per immagini). In precedenza si è dedicato all’esplorazione della Val Grande (vedi qui), dove ha portato anche Paolo. Di seguito alcune immagini sulle sue esperienze nelle Terre del Nord.

 

Di seguito qualche ricordo di una serata emozionante, in cui ho rivisto un amico e ho potuto scambiare qualche parola con un autore che ammiro e che temo di aver tediato con inopportuni racconti di viaggio… scusami Paolo!

 

Manuale per ragazze di successo – Paolo Cognetti ti invidio da morire!

manuale per ragazze di successo

A volte mi capita di guardare la famosa pila di libri sul comodino e di non sentirmi soddisfatta. Manca quello di cui ho bisogno proprio in quel momento. Succede così che devo recarmi nel mio santuario personale e soddisfare questo impulso irragionevole. Non sempre mi è possibile e il momento magico si perde, ma con Cognetti è andata diversamente. Mesi fa ho letto Il ragazzo selvatico e da allora mi è rimasta la voglia di leggere altri suoi racconti. La settimana scorsa mi sono procurata due suoi libri e ho divorato Manuale per ragazze di successo. Mi ha fatto male.

Paolo mi ha introdotto nel mondo del racconto, che non conoscevo, e sotto la sua ispirazione ho iniziato a leggere Alice Munro e ho comprato un libro di Carver, ho pure fatto un corso di introduzione al racconto per capire meglio questo genere, illudendomi anche un poco di poter creare qualcosa di mio.

Leggendo i sette racconti del Manuale per ragazze di successo mi sono terribilmente depressa. Qualcuno mi ha detto che lo scrittore quando legge dovrebbe sentire lo stimolo a fare di meglio, provare un sentimento di sfida e di orgoglio nei confronti degli altri scrittori. Io invece mi rendo conto solo dei miei limiti e apprezzo ancora di più l’arte di chi sto leggendo. Cognetti è sorprendente, schifosamente bravo. Nel creare situazioni, nel sondare gli animi dei personaggi più disparati, nel descrivere con pochi tratti interi mondi. Ed ha pure uno stile superbo, mai scontato, mai banale. Che rabbia!

Il libro raccoglie sette racconti, sette storie di donne, narrati in modo alternato da una voce femminile e una maschile. Si tratta di ragazze sulla trentina, colte in un momento di rottura della loro vita, fragili eppure capaci di decisioni forti, a volte definitive. Gli uomini che le circondano sono invece deboli, schiacciati dalla vita, inutili. Zavorre da abbandonare ai capricci della corrente. Sono favole amare. Moderne eppure mitiche, nel loro essere frammenti strappati di vite riconoscibili attorno a noi.

Un libro che si legge velocemente ma lascia un’eco profonda. Sensazioni e riflessioni. E non è forse questa la magia di un bel libro?

Manuale per ragazze di successo, Paolo Cognetti, 2004, edizioni Minimum Fax, pagg 115.

Dal sito della Minimum Fax un estratto del libro: qui.

Scrivere racconti

Munro - Cognetti

Le coincidenze possono dare forza alle piccole intuizioni, sono in grado di generare nuove azioni e sentimenti.

Sono convinta che non sia un caso che quest’anno abbia scoperto Paolo Cognetti, mi sia iscritta a un corso di scrittura sul racconto e dopo pochi giorni Alice Munro abbia vinto il nobel per la letteratura.

Della Munro ho letto solo pochi racconti, estratti pubblicati sui giornali, ma sto aspettando con trepidazione la mia prima raccolta. Mi piacerà? Diventerà un mio nuovo scrittore feticcio?

Nell’attesa di una mia recensione – so che l’aspettate intensamente… – leggetevi questo bellissimo articolo di Cognetti sulla Munro. Non vi viene voglia di depredare una libreria? Di prendervi un mese di vacanza e immergervi nella lettura? A me sì.

Ora provo a chiedere al capo…

Il ragazzo selvatico – Paolo Cognetti

Il ragazzo selvatico è un libricino sottile ma denso.

L’ho finito in pochi giorni ma sono tanti quelli che ho lasciato passare prima di scrivere le mie impressioni. Il grumo di emozioni che mi ha provocato non si è ancora diluito: è rimasto un ammasso confuso di suggestioni, ricordi, pensieri e riflessioni.

Sarà che parla di montagna e da poco ho riscoperto quanto io ne sia innamorata.

Sarà che l’autore ha un’età molto prossima alla mia e lo sento terribilmente vicino nelle sue debolezze e solitudini, nella continua ricerca di se stessi, partita da bambini e ancora in corso.

Sarà che me l’ha consigliato una persona speciale e leggendolo pareva l’avesse scritto lui.

Fatto sta che non so più se quelle impressioni e quelle domande che mi ha suscitato la lettura siano mie o loro. Se le ho riconosciute o solo assimilate.

E’ una sensazione così intima che mi chiedo cosa hanno provato gli altri lettori.

Il romanzo, anzi, il quaderno di montagna, in sè è semplice: parla di un periodo difficile dell’autore che dopo il successo del suo ultimo libro si sente svuotato, in preda al cosiddetto blocco dello scrittore. Per ritrovare l’ispirazione, ma soprattutto se stesso, inizia un eremitaggio in una baita sulle montagne della Valle d’Aosta. Cerca la solitudine, vuole dimostrare a se stesso di essere uomo, di riuscire a farcela da solo. Una prova. Circondato dai boschi, dai selvatici, dalle montagne, sperimenta un ritmo nuovo. Osserva, legge, pensa. Studia la natura. La sua solitudine non riesce però ad essere totale e scopre due persone: non sono semplici incontri ma la costruzione di nuovi affetti.

Paolo Cognetti scrive nel suo blog:

… dopo tre anni e diverse rielaborazioni, il libro ha finito naturalmente per essere un libro su di me. Questo mi imbarazza molto. Uno scrittore dovrebbe coltivare la timidezza, scomparire dentro le sue storie. Deporre le armi della narrativa e dire io, confessandosi a un pubblico di sconosciuti, più che un gesto di coraggio mi sembra un grave peccato di narcisismo. Per questo ho provato a dar voce a un io schivo, come i miei amici montanari: ho eliminato gli specchi di casa e passato molto tempo alla finestra, pur sapendo che scrivere di alberi e animali era un altro modo per scrivere di me, solo nascondendomi nel larice caduto, nella volpe che di notte viene in cerca di cibo, nei ruderi infestati dalle ortiche, nei laghetti d’alta quota e negli ultimi nevai d’agosto. Poi a volte ci sono stato costretto, a dire io. Sono stati i capitoli più penosi, come quei pendii ripidi e brulli che non danno alcun piacere, e li risali a passo lungo e testa bassa per superarli il prima possibile. Scrivendoli mi veniva da chiedere scusa. E mi sono sentito molto meglio quando infine il sentiero ha svoltato e ho potuto tornare a descrivere i suoni del bosco, i gesti di un amico.

Come si fa a non amare una persona simile? Qualche tempo fa si disquisiva sul rapporto tra l’autore e la sua opera: si può amare la seconda pur disprezzando il primo? Per me una simile dicotomia non è possibile: autore e opera sono una cosa sola e spesso se non mi piace un libro non mi piace nemmeno il suo scrittore. Sarà per quello che più che libri preferiti ho scrittori preferiti. Il ragazzo selvatico mi è piaciuto molto, ora sono curiosa di leggere anche gli altri libri  di Cognetti, anche se saranno molto diversi da questo. E aspetto di tornare presto alle mie montagne, diventate ormai una calamita per i pensieri e il cuore, dove l’animo si allarga e il respiro si fa più profondo.

Il ragazzo selvatico. Quaderno di montagna di Paolo Cognetti, Terre di mezzo editore, 2013, 99 pagine.


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