Hotel Lagoverde

Entrando nella hall dell’albergo Lagoverde ci accoglie un’inconfondibile canzone di sottofondo che rimarrà sottotraccia per tutta la lettura: si tratta di Hotel California degli Eagles, un suggestivo racconto in musica che sembra riverberare in ogni stanza.

Il dottor Stein, il direttore, arriverà più tardi, intanto ci accolgono Augusto, Margherita e il resto del personale dell’albergo, che sembrano aspettare proprio noi, da sempre.

Non è stato semplice arrivare: l’albergo si perde tra le valli boscose del centro Italia, la segnaletica è incompleta e proprio quando si pensa di essersi persi ecco che il bosco si apre su un lago dalle acque scure e, poco più avanti, la facciata elegante dell’Hotel Lagoverde, con la fontana, il piazzale di ghiaia, le aiuole curatissime.

Il posto sembra deserto, gli altri ospiti sono fuori ma torneranno per cena, ci dicono, e intanto prendiamo possesso della nostra stanza al primo piano e ci mettiamo in ascolto, in lettura.

Hotel Lagoverde è un progetto ideato e curato da Gianluigi Bodi, che ha ospitato in ogni stanza dell’albergo uno scrittore diverso, dandogli la consegna di scrivere un racconto su quel luogo così ospitale, così misterioso (such a lovely place). Ci troviamo così di fronte a una raccolta di racconti scritti da più autori, ognuno con la sua voce riconoscibile, ciascuno ambientato all’Hotel Lagoverde, tutti auto conclusivi eppure intimamente legati, in una rete di riferimenti comuni, alcuni evidenti, altri più sotterranei.

I racconti, si dice, non attirano il grande pubblico ma non è sempre stato così. Si pensa addirittura che i racconti siano solo una scuola su cui si formino gli autori dei romanzi di domani. Eppure tra romanzo e racconto c’è un’enorme differenza, che poco c’entra con la lunghezza del testo, quanto con la sua essenza narrativa. Lo spiega bene Bodi nella prefazione, citando un celebre saggio di Cortazar sull’argomento.

Gli autori che hanno occupato le stanze di questo albergo sono tutti eccellenti scrittori, sia di romanzi, sia di racconti. La forma breve permette loro di giocare con la lingua, con la struttura, di approfondire un sentimento o di reggere un gioco letterario, il tutto coinvolgendo il lettore. Il fatto poi di condividere non solo un tema ma anche un luogo che è spazio e tempo e sentimento, crea un’unione intima tra i racconti, che è molto di più che un debole filo rosso con cui cucire insieme le pagine.

La bellezza di leggere questa raccolta è simile al piacere che si prova di fronte a un vassoio di pasticcini: alcuni li conosciamo e sappiamo già che ci piaceranno, altri magari ci lasceranno il dubbio sui loro ingredienti, altri ancora saranno dolci scoperte.

Premesso che il livello dei racconti è molto alto, non ho potuto fare a meno di scegliere i miei preferiti. Un caro amico mi ha scritto: “Qual è il racconto che ti è piaciuto di più, e perché proprio quello di Paolo Zardi?”. E io mi sono messa a ridere perché è proprio così: L’ultima estate è un racconto stupendo, di un Paolo Zardi in stato di grazia, che scrive sull’orlo della nostalgia senza mai lasciarsi affascinare dalla disperazione, con una chiarezza nel cogliere certi passaggi dell’anima che ha un che di sfolgorante e illumina la storia di un uomo anziano che, dopo il divorzio, torna all’albergo dove aveva passato le estati della sua infanzia, l’Hotel Lagoverde, appunto.

L’odio coniugale è carbonato di calcio che percola lungo le pareti di una grotta e poi si solidifica in stalattiti. Servono tempi lunghi e molta pazienza; noi ne abbiamo avuta, evidentemente, perché abbiamo lasciato che quella forza crescesse un millimetro al giorno. Mi ha lasciato lei, ma è stato un caso. Ci siamo passati mille volte la pistola carica, ed eravamo sempre sul punto di premere il grilletto, trattenuti dalla pietà, o da una forma molto raffinata di crudeltà. Ora sono libero, che è un altro modo di dire che sono solo.

Altro racconto che mi è piaciuto molto è quello di apertura, L’amore che cambia di Emanuela Canepa, la storia di una coppia che incappa per caso (o forse no) in questo albergo sperduto e fa i conti con un rapporto inceppato da tempo, trovando alla fine un’incredibile soluzione, al limite tra ironia e grottesco, con una punta di perturbante.

Invecchiare invece ha cambiato la configurazione delle cose. Il paradosso è che negli anni, a forza di andare in palestra, certe imperfezioni localizzate le ho risolte. Ma questo non frena la decadenza generale. È la struttura complessiva che vibra e collassa. La geografia del sistema diventa irriconoscibile. Sull’imperfezione puoi sempre intervenire in un modo o nell’altro. Il disegno globale invece non lo recuperi più. Anzi, ad accanirti fai peggio. Se eviti di forzare, può anche darsi che l’organismo ti faccia la cortesia di collassare con grazia. Ma se ti accanisci è la stessa cosa che tentare di risolvere il problema con una palla da demolizione. In un attimo sono macerie. Questo l’ho capito. Sempre stata onesta fino alla scarnificazione. Però mi fa incazzare.

Tra i magnifici tre non posso poi inserire il racconto Morphelix di Domenico Dara. Scritto in un linguaggio forbito e quasi anacronistico, tesse la storia di un uomo che non ha mai vissuto e che solo all’Hotel Lagoverde scoprirà quello che gli è sempre mancato, spezzandomi il cuore all’ultimo paragrafo.

Michele Orti Manara ha creato un racconto ricorsivo che affonda le sue radici nel gotico e nel perturbante, Cristò dà vita al personaggio di un blogger che si dedica alle letture estreme, Alessandro Cinquegrani scrive terribili lettere d’amore, Ivano Porpora ci sprofonda in un’ossessione silenziosa, Giulia Mazza storce la nostra prospettiva, Daniela Morano ci spiazza con un racconto piano che si avvita in un colpo di scena finale. Infine arriva Gianluigi Bodi a raccogliere tutte le briciole sparse nel bosco e a ricondurci, ancora una volta, all’Hotel Lagoverde, dove tutte le storie vanno a finire.

Last thing I remember, I was
Running for the door
I had to find the passage back
To the place I was before
“Relax, ” said the night man,
“We are programmed to receive.
You can check-out any time you like,
But you can never leave! “

Hotel Lagoverde, edito da LiberAria, è un progetto ideato e curato da Gianluigi Bodi, ottimo scrittore di racconti e curatore di Senzaudio, un blog che da anni è un punto di riferimento per gli appassionati di case editrici indipendenti e non solo.

Memorie di un dittatore di Paolo Zardi

Memorie di un dittatore di Paolo Zardi

In un’isola deserta, collocata in uno dei due tropici, sconta il suo esilio una strana figura di dittatore. Personaggio interessante, di sicuro carisma, la sua voce ci coinvolge in un racconto che alterna la memoria del passato alla vita presente, trascinata in una enorme villa coloniale dove si trova confinato con la sola compagnia di un servitore, Fernando, e un medico personale.

Paolo Zardi in Memorie di un dittatore torna di nuovo alla forma del romanzo, e lo fa stavolta con una voce ancora più matura rispetto alle opere precedenti, confermando la sua capacità di migliorarsi e innovarsi a ogni nuova prova letteraria. Quello che rimane costante, e che costituisce la cifra del suo talento, è la capacità di osservare l’umanità e saperla restituire in tutte le sue sfaccettature, dalle più generose a quelle più meschine.

Ci sono tre aspetti che mi hanno colpito particolarmente durante la lettura:

  • l’ironia e il gusto per il grottesco: sono due elementi fondativi di tutta la produzione di Zardi e rendono la lettura terribilmente piacevole e divertente, dando il giusto ritmo alla narrazione senza mai farle perdere di tensione.

  • la presenza di un forte sottotesto letterario, ricco di citazioni, rimandi e allusioni, a volte evidenti, altre più nascoste, ma sempre funzionali alla narrazione. In una recente presentazione del libro, Zardi ha ammesso di aver citato almeno quaranta autori diversi, tra i quali ho riconosciuto Dante, D’Annunzio, Montale, Tolstoj, Flaubert, Shakespeare e Majakovskij. Non ci potevo credere, ma per sua ammissione all’elenco sfugge Nabokov, nonostante sia uno dei suoi maggiori riferimenti letterari.

  • l’analisi del potere, riassunto in una figura emblematica che ce ne mostra il volto seducente e allo stesso tempo feroce, intelligente ma con una cultura superficiale e raffazzonata. Questo dittatore senza nome, gradasso e esagerato, analista attento degli appetiti delle folle, amorale e incapace di empatia, è la summa dei dittatori del passato, li rappresenta tutti senza incarnarne nessuno nello specifico. L’abilità dell’autore sta nello stare sempre sul filo tra la simpatia che naturalmente suscita in noi la voce narrante e la capacità di voltarla in disgusto e orrore un attimo prima che questo anfitrione convinca anche noi della sua giustezza.

Ripensandoci, non è la prima volta che Paolo Zardi si cimenta nella narrazione di un personaggio scorretto con l’intenzione di connotarlo in modo che risulti non del tutto odioso ma quasi simpatico, penso soprattutto al protagonista di “Tutto male finché dura” edito da Feltrinelli nel 2018, ma anche al capo della Ki-Kowy, Kapoor, ne “L’invenzione degli animali” uscito per Chiarelettere nel 2019, e a tanti protagonisti dei suoi racconti, molti dei quali raccolti in “La gente non esiste” della Neo edizioni.

In Zardi c’è il divertimento di rovesciare l’assioma brutto-cattivo-antipatico, ma c’è soprattutto la volontà di evidenziare come la realtà sia molto più complessa delle categorie nelle quali vorremmo imbrigliarla e, anche, la preoccupazione di tenere alta la nostra attenzione su come sia facile cadere nella seduzione dell’amoralità e del potere. Sembra dirci, alla fine, che quello che ci costa più fatica è rimanere umani e che in fondo l’amore è la sola cosa che conta.

Peccato, ho pensato un attimo prima di andarmene. Avevo calcolato tutto, tranne l’amore.

Memorie di un dittatore, edito da Giulio Perrone editore, febbraio 2021, 300 pagine.

L’invenzione degli animali – segui la tartaruga

Quando vi chiedono che tipo di lettore siete o quali siano le vostre letture preferite sapete rispondere? Avete pronto il vostro palmares di autori, generi, titoli? E se la risposta è sì, è statico nel tempo o suscettibile di cambiamento?

Fino a qualche tempo fa il mio personale olimpo era formato solo da scrittrici, per fortuna non tutte necessariamente morte: Jane Austen, Virginia Woolf, Amelie Nothomb, Fred Vargas.

Per entrare in questa classifica il requisito essenziale è uno solo: generare l’impulso incontrollabile di leggere ogni cosa sia stata scritta dall’autore in questione. Perché di tanti innamoramenti e passioni brucianti la mia libreria è testimone, ma sono in pochi gli autori che con il loro talento e la loro particolare sensibilità sono riusciti a instaurare un dialogo costante e generoso, che mi arricchisce a ogni lettura, nuova o ripetuta.

Visto in questa ottica, un autore che è sulla buona strada per essere accolto nel mio salotto buono è sicuramente Paolo Zardi. Chi segue questo blog sa quanta stima abbia per l’uomo e per lo scrittore, ma ora vorrei parlare del suo ultimo romanzo L’invenzione degli animali, uscito per Chiarelettere a settembre 2019 e subito arrivato tra le mie frementi mani.

La pubblicazione di questo romanzo arriva pochi mesi dopo la raccolta di racconti La gente non esiste per Neo (bellissima, favolosa, da leggere, come ho già ampiamente argomentato qui), aggiungendo nuovi interrogativi e suggestioni a una costellazione di opere che va a comporre una visione del mondo personale e complessa, fortemente ancorata alla realtà, nonostante il velo della distopia.

Non è facile assegnare una classificazione a questo romanzo: ogni etichetta rischia di limitarne il contenuto, quando invece dovrebbe essere intesa come un tentativo di renderne almeno in parte la complessità.

Iniziamo da un primo livello di lettura: la storia è ambientata in Europa, in un futuro prossimo in cui il dualismo tra ricchezza e povertà, città e periferia, tecnologia e arretratezza è esasperato. Non si tratta di fantascienza, anche se l’elemento tecnologico/scientifico innovativo è ampiamente presente, ma piuttosto di distopia (letteralmente il contrario di utopia) in quanto si analizzano problemi e tendenze del presente trasferendoli in un futuro possibile, in cui una grande impresa ha il monopolio sul mercato e sulla scienza, diventando ancora più potente dei governi e con l’ambizione di generare una sua morale, ovviamente per tornaconto economico.

Detto così può sembrare ostico, ma l’abilità di Zardi sta nell’affrontare temi capitali, morali ed etici integrandoli con naturalezza in un thriller avvincente, ricco di colpi di scena e che mi ha tenuto incollata alla lettura nonostante il debito di sonno che tanto so non riuscirò mai più a saldare.

Ho apprezzato molto la costruzione dei personaggi, primari e secondari, con quella attenzione all’uomo e alla sua unicità che era già un caposaldo de La gente non esiste, ma in realtà di tutto quello che ho letto di Zardi finora. Il personaggio di Lucia, la protagonista, non è poi una nuova conoscenza: l’avevamo trovata bambina nel romanzo Tutto male finché dura edito per Feltrinelli (recensito anche lui qui) ed è proprio una caratteristica di Paolo quella di riprendere i suoi personaggi e farli rivivere oltre le prime pagine in cui li avevamo incontrati. Viene così a crearsi un sistema di riferimenti verso quanto è stato già scritto e quanto si verrà a scrivere, in un tentativo (in parte dichiarato dall’autore) di creare un universo che abbia una sua coerenza e inoltre sintomo del suo spirito ironico, che ama giocare con il lettore e porre nuove sfide stimolanti al se stesso scrittore.

Per chi si chiede di cosa parli questo romanzo, la trama in breve è questa: Lucia Franti viene scelta insieme ad altri giovani estremamente brillanti e ambiziosi per lavorare alla Ki-Kowy, l’azienda più potente a livello mondiale, che affianca alla produzione di nuove tecnologie una ricerca avanzata in tutti i campi della conoscenza, ovviamente a scopo di lucro. Questi ragazzi, tutti provenienti da realtà personali difficili e elevatisi grazie alle loro notevoli doti intellettive, si trovano ciascuno a suo modo a confrontarsi con il confine tra scienza ed etica. Lucia, impegnata in un progetto di ibridazione animale il cui scopo è nientemeno che la vita eterna, si troverà coinvolta in vicende che metteranno in dubbio tutto il suo sistema di riferimenti morali, affettivi e soprattutto etici. E noi con lei.

Posso affermare che uno degli aspetti che più mi ha colpito di quest’opera è la sua ricchezza di argomenti: un aspetto necessario dato che i personaggi sono tutti per lo più molto intelligenti e colti, ma che trova evidentemente risonanza in una passione dello scrittore per quegli stessi temi, che si tratti di antropologia, sociologia, genetica, economia, filosofia, informatica, e sicuramente qualche altra fondamentale branca dello scibile umano che ora mi sfugge. C’è un gusto nelle pagine per il dettaglio, l’aneddoto, l’aspetto curioso e laterale della scienza, che si amalgama con scioltezza nella narrazione, arricchendola e scongiurando il rischio della noia o dell’incomprensione, trasformando l’argomento di un possibile saggio scientifico in letteratura. Perché scrivere è mistificare: si cerca la verosimiglianza con una realtà che alla fine viene piegata per i propri scopi e soprattutto per il piacere del narrare.

La gente non esiste di Paolo Zardi – perché dovete leggerlo

In aprile è uscita per la Neo edizioni una raccolta di racconti scritti da Paolo Zardi. Già questi tre elementi dovrebbero essere sufficienti per acquistare La gente non esiste a occhi chiusi. Ma dato che non tutti possono nutrire lo stesso mio entusiasmo e fiducia, vorrei elencare alcuni validi motivi per convertirsi allo Zardianesimo o almeno leggere il libro e provare a confutarmi.

  • Bellezza. I racconti scelti per formare questa raccolta sono davvero belli. Non carini o simpatici. Belli. Ultimamente ho letto diverse raccolte e ho preso l’abitudine di segnare con una spunta i racconti che mi sono piaciuti di più. Ho notato che si tende a mettere i più validi all’inizio e alla fine ma spesso in mezzo se ne trovano alcuni inseriti più per fare volume, magari ancora acerbi o non perfettamente riusciti. Non è questo il caso. E’ come acquistare una scatola di cioccolatini belgi (una delle meraviglie nazionali che possono vantare da quelle parti) e sorprendersi e commuoversi a ogni boccone. Chi mi conosce sa che se associo un libro al cibo è sicuramente indice di qualità, d’altronde sono tra le due esperienze maggiormente in grado di commuovermi.
  • Semplicità. Leggere un racconto di Zardi non richiede fatica al lettore: basta sedersi, aprire il libro, e lasciare che le parole risuonino dentro: a volte ci sarà una risata, altre un sorriso d’intesa, lo stupore per un particolare che conoscevamo ma non avevamo messo a fuoco, il piacere di un piccolo scostamento dalla realtà, la commozione per la verità di sentimenti che ci appartengono e ci vengono restituiti con una nuova luce. La bellezza di queste storie e di come sono scritte mi ricorda il talento richiesto a un musicista o a un ballerino che anche nei passaggi più difficili deve nascondere la fatica e la dura preparazione dietro all’eleganza e alla pulizia del gesto artistico. Personalmente non amo le manifestazioni di bravura, la ricerca dell’applauso o del colpo di scena fine a se stesso; non voglio essere impressionata da un racconto: voglio ascoltare una storia e non dimenticarla più, e Zardi in questo è bravissimo.
  • Lingua. Non ci sono sbavature nella scrittura ma un controllo perfetto della parola, come uno scoglio modellato da infinite onde. Il narratore si pone alla giusta distanza e regola l’obiettivo in funzione dei personaggi e della storia, in un movimento talmente fluido di camera che ne restiamo stupiti senza riuscire a scoprire il trucco che c’è dietro.
  • Piacere. Il piacere di leggere qualcosa di veramente bello, che riesce a soddisfare contemporaneamente il desiderio di una storia interessante, scritta bene, non scontata e profonda. E vi assicuro che scrivere un racconto così non è facile. Scriverne 27 è un’impresa che non ritenevo possibile.
  • Brevità. I racconti sono per lo più di poche pagine. Potete leggerne uno a sera o mangiarne a manciate. E per chi pensa di non amare i racconti, questa è l’occasione giusta per provare a cambiare idea. Potreste scoprire che vi piacciono e non poterne più fare a meno.
  • Autore. Paolo Zardi passa alternativamente dal romanzo ai racconti, riuscendo sempre a convincere. Di suo ho letto XXI secolo, sempre per Neo edizioni, e Tutto male finché dura per Feltrinelli (potete leggere la mia recensione qui) oltre a numerosi racconti pubblicati su varie riviste, cartacee o digitali, e in raccolte. Perché anche se ha iniziato tardi a pubblicare – poco prima dei quarantanni – Zardi si è rifatto velocemente negli anni successivi, manifestando una facilità di scrittura e una vastità di temi trattati, passando da atmosfere più cupe a toni grotteschi fino a dolcezze liriche.
  • Persona. Autore e persona sono due entità distinte. Ma lo scrittore non può allontanarsi troppo da quello che è: il suo sguardo sul mondo, i dettagli che lo colpiscono, la sensibilità con cui interpreta la realtà, sono indissolubilmente legati alla persona che vive e scrive. E personalmente sono molto affezionata ad entrambi e faccio fatica a distinguerli.
  • Bonus track. Finito di leggere il primo racconto ho chiuso il libro: l’equilibrio e la grazia con cui era scritto, l’ironia e la sensibilità acuta che si alternavano tra le righe per me erano già sufficienti. Avevo paura di non trovare racconti altrettanto belli. Poi per fortuna ho letto anche gli altri.

Fin qui ho cercato di essere obiettiva, per quanto l’entusiasmo e l’affetto possano permettermi di esserlo. Ma ci tengo veramente molto che questo libro passi di mano in mano e che almeno uno di questi racconti riesca ad illuminarvi come tanti hanno fatto con me: tra una riflessione, un sorriso e una gentile stretta al cuore.

“La gente non esiste” di Paolo Zardi. Neo edizioni. 2019