Cromorama – come il colore ha cambiato il nostro sguardo.

In questo saggio del 2017 Riccardo Falcinelli ci accompagna alla scoperta della storia del colore, in un viaggio approfondito e davvero appassionante.

Il tono dell’opera è divulgativo, accattivante e al tempo stesso scientificamente accurato. Gli aneddoti anche personali dell’autore si legano all’analisi di fenomeni di costume, sociologici e storici, raccogliendo un bacino di curiosità inesauribile che si innesta però su una struttura solida e ben articolata, che non dà mai l’impressione di perdere il punto del discorso.

Scopriamo così che il concetto che abbiamo noi del colore è diverso da quello che avevano i nostri antenati nelle varie epoche e che il significato dato ad esso può variare a seconda delle coordinate geografiche e temporali, delle teorie filosofiche e dei progressi scientifici. Il bianco che un pittore ricava dalla biacca nell’Ottocento era tossico e non poteva essere usato ad affresco, il bianco che compriamo in tubetto in cartoleria non scade ed ha sempre la stessa resa, qualsiasi campione ne acquistiamo, e costa come un blu oltremare, cosa impensabile nel passato, in cui l’azzurro era espressione di potere e regalità – pensiamo al velo della Madonna – proprio per il suo altissimo costo economico.

Anche il modo in cui fruiamo di un’opera incide sulla percezione che abbiamo del colore: le icone, con i volti scuri annegati in un oro liquido, erano pensate per un’esposizione alla luce fioca e danzante delle candele, che era in grado di esaltare i riflessi aurei e dare loro movimento. Una pala del Seicento non era certo immaginata esposta alla luce dei neon in un museo moderno e così le velature e la resa dell’incarnato di un Tintoretto non hanno la stessa resa di un quadro impressionista sui nostri schermi retroilluminati.

Un altro aspetto che mi ha affascinato durante la lettura sono gli approfondimenti legati alle varie arti,  penso a Goethe e ai suoi studi sul colore o all’intero capitolo dedicato a Madame Bovary e al motivo per cui Flaubert la veste di blu, o al capitolo in cui Falcinelli analizza le scelte cromatiche nel film “La donna che visse due volte” di Hitchcock, scoprendo nell’alternanza di verdi e rossi un altro livello di lettura della storia e una anticipazione della trama.

Ovviamente in un libro sul colore non possono mancare i riferimenti iconografici, e lo spessore notevole del libro (che ammetto all’inizio mi aveva un po’ preoccupato) è dovuto anche alle numerose immagini che fanno da contrappunto al testo e accompagnano la lettura, arricchendola con riferimenti diretti e immediati.

La bibliografia inoltre, come è immaginabile per un’opera così ampia, è molto vasta e invece che essere richiamata da continue note a piè di pagina, viene esplicitata in forma breve in verticale, sul lato interno del paragrafo corrispondente, rendendo molto scorrevole la lettura e senza perdere alcun riferimento.

Completano l’opera le appendici (concetti scientifici e principali modelli cromatici) e l’elenco iconografico, tutti elementi che confesso di non aver letto, perché alla fine, quello che più ho amato di questo saggio è la sensazione di fare una chiacchierata piacevole con una persona esperta sì dell’argomento, ma che soprattutto adora comunicarlo e spiegarlo, e lo fa con amore per la narrazione e sapiente padronanza del ritmo.

Cromorama di Riccardo Falcinelli. Edizione Einaudi stile libero.

Fissando il sole di Yalom. Un saggio ricco di luce per affrontare la paura della morte.

Fissando il sole di Yalom. Un saggio ricco di luce per affrontare la paura della morte.

Fissando il sole di Yalom è un saggio sulla morte, sul terrore che provoca nelle persone e sulle risorse che abbiamo per superarlo.

I saggi non sono il mio genere d’elezione: sulla lunga distanza tendo a perdere concentrazione, mi lascio prendere dall’ansia di non aver afferrato i singoli concetti o assimilato tutte le informazioni, di perdere la visione generale e magari annoiarmi. Insomma, li inizio e non li finisco.

Con Yalom è stata tutta un’altra storia. Non solo per l’argomento.

Le soleil ni la mort ne se peuvent regarder en face.

(Nè il sole nè la morte si possono guardare fisso)

Francois de La Rochefoucauld, Massima 26

In questo saggio l’autore raccoglie la sua esperienza di psichiatra che ha avuto spesso a che fare con persone molto vicine al pensiero della propria morte, o perché ammalate in fase terminale, o perché toccate da lutti personali, o infine perché hanno iniziato la parabola discendente della vita.

Il pensiero della morte è un tabù nella nostra società e noi abbiamo perso le parole e i modi per affrontarlo quando inevitabilmente ci tocca da vicino, finendo per rimanere paralizzati.

Il potere della presenza

Il più grande servizio che si può rendere a qualcuno che si trova a fronteggiare la morte (e da questo punto in avanti parlo sia di coloro che sono affetti da una malattia letale che degli individui fisicamente sani che sperimentano il terrore della morte) è quello di offrirgli la propria pura e semplice presenza.

L’aspetto incredibile di questa lettura è stato il senso di serenità che mi ha pervaso pagina dopo pagina. È come se mi avesse accompagnato in una meditazione necessaria, fornendomi strumenti e parole per esprimere un qualcosa che ho sempre sentito in modo confuso. E lo fa con uno stile limpido, riferimenti letterari e filosofici preziosi, aneddoti ben inseriti e un approccio profondamente ricco di calore umano.

La mia formazione è molto lontana da quella di Yalom, ma nutro un grande interesse per tutto quello che riguarda l’uomo e la sua mente. Il viaggio in cui mi ha accompagnata mi ha fornito numerosi spunti, alcuni dei quali continuano a risuonarmi dentro a distanza di settimane.

Le decisioni importanti spesso hanno radici profonde. Ogni scelta implica un abbandono, e ogni abbandono ci rende consapevoli delle limitazioni e della temporaneità.

Alcune sono parole semplici che esprimono concetti profondi: quando ci sono io non c’è la morte, quando c’è la morte non ci sono io.

Altre sono teorie che sentivo già mie, come quella che Yalom chiama teoria dei cerchi nell’acqua. La nostra vita, le nostre interazioni con gli altri, producono degli effetti di cui non sempre siamo consapevoli. Una nostra frase o un nostro gesto possono imprimere negli altri un significato profondo, che va oltre le nostre intenzioni o la nostra consapevolezza, proprio come un sasso gettato nell’acqua che crea una serie di cerchi concentrici che continuano a espandersi. Perché una delle paure maggiori legate alla morte è quella di sparire, di non lasciare traccia del nostro passaggio, o che i nostri ricordi più preziosi, le conoscenze faticosamente acquisite, spariscano insieme a noi.

Quando mesi fa ho letto le riflessioni di Alessandro Busi nel suo post (qui) dedicato proprio a questo saggio, mi sono sentita in qualche modo colpita profondamente e ho capito che dovevo approfondire il motivo. È stato un vero sasso lanciato nello stagno della mia coscienza che ha creato effetti a catena, su di me e ora spero in chi mi leggerà.

Il mio rapporto con la morte non è di paura per me, se non per il dolore ad essa intimamente legato, quanto piuttosto per la perdita delle persone a me care. Come ho capito già da bambina, chi soffre di più è chi resta, non chi muore, che finalmente ha smesso di soffrire. Ma se un’eco di noi resta nel rapporto con gli altri, siano amici o conoscenti o sconosciuti, lasciamo un’eredità di idee e ricordi a chi resta.

Questa è la settimana in cui compio quarantanni. Una cifra tonda che non sento mi appartenga. Perché non voglio fare bilanci, perché sono ancora in cerca di me stessa e perché a esattamente quarantanni è morto mio padre e verso la fine del 2020 avrò vissuto più giorni di lui. E mi chiedo se ho fatto buon uso della mia vita, dell’eredità morale e intellettuale che mi ha lasciato, della persona meravigliosa che è stato e che chi l’ha conosciuto non manca di ricordarmi. E così, anche se abbiamo vissuto poco insieme, io sento che la sua presenza è forte in me e attorno a me.

Di solito non mi è facile sbilanciarmi sui pensieri più intimi, ma credo che fare un passo verso gli altri, mostrando la propria vulnerabilità, possa a volte essere di conforto. E scrivendo questo penso a una cara amica, che ha fatto della narrazione quotidiana del suo dolore un momento di condivisione e profonda bellezza. Vorrei che anche quel poco che scrivo lo fosse, per chi mi legge. Perché (e sarà almeno il cinquantesimo perché di questo post, mi rendo conto) le relazioni con gli altri sono fondamentali e vorrei che, nella giusta proporzione, fossero comunque significative.

Ecco, ci sarebbe tantissimo altro da dire di più pertinente su Fissando il sole, pensando anche solo alla sua struttura narrativa, pensata per essere il più chiara e diretta possibile, o allo stile così elegante e asciutto, ricco di immagini e di idee che ho sottolineato, asteriscato, segnalato con post-it sgargianti. Segnandomi appunti e nomi di persone. A quanti ho scritto di questo libro, mandando foto del passaggio che più mi aveva fatto pensare a loro! Perché anche se il tema è la morte, questo libro trabocca di vita e vorrei che tutti avessero la possibilità di trovare almeno un passaggio illuminante che li conforti in questo nostro impegnativo viaggio.

Fissando il sole (2008) di Irvin Yalom (1931 USA). Neri Pozza editore, maggio 2017, pp 251. Saggio.

Ultime letture tra saggi, fantasy, gialli e YA

In questi giorni ho letto tanto, ho letto bene, ho letto libri freschi come un bicchiere d’acqua o densi come un buon liquore.

Il tempo stringe, la scadenza per il mio progetto si avvicina e se tutto va bene potrò informarvi, anche se in maniera troppo concisa rispetto a tutto quello che vorrei dire.

Vi lascio con qualche consiglio di lettura:

 

Maigret a scuola di Simenon

Letto in un pomeriggio, come tanti altri suoi gialli, rimane una solida certezza di lettura scorrevole ma profonda. Trovo sempre incredibile l’abilità di Simenon nella costruzione dei personaggi e delle dinamiche all’interno di piccoli gruppi di persone, la sua conoscenza dell’animo umano e delle sue piccole cattiverie.

Mi lascia pensare il fatto che Simenon è stato a lungo considerato uno scribacchino per la sua prolificità e il tipo di genere scelto, osteggiato dalla cultura dell’epoca.

Per fortuna la letteratura è varia e abbiamo libri e scrittori per ogni gusto, ogni stato d’animo e ogni momento della nostra vita. Basta saperli incontrare.

 

 

Divergent di Veronica Roth.

Un libro che sancisce il mio ritorno al fantasy, ad anni di distanza da Asimov e Gibson, e il mio primo incontro con la categoria dello YA (Young Adult) di cui ho letto molto in giro. La lettura mi ha appassionato anche se rispetto ai nomi citati prima sembra di leggere Topolino. Eppure il libro è estremamente godibile, appassionante, con un buon ritmo e delle idee interessanti. I futuri distopici (una realtà alternativa eppure simile alla nostra) li ho sempre trovati accattivanti. Ci sono delle ingenuità, un po’ di previdibilità ma l’eroina imperfetta e coraggiosa si fa amare. Se ne avrò l’occasione leggerò gli altri due capitoli della saga e vedremo se il sistema costruito dall’autrice regge anche sulla lunga distanza.

 

 

La trilogia delle gemme (Red-Blue-Green) di Kerstin Gier

 

Si tratta di tre grossi volumi prestatimi dal mio giovane fratello e morosa. Pensavo mi sarebbero durati almeno un paio di settimane e invece li ho letti in tre giorni. Uno al giorno. Anche qui si intrecciano fantasy e YA, un’eroina imperfetta e coraggiosa e un’appassionante storia d’amore ma, invece di descrivere un futuro prossimo, la Gier ci porta a spasso nella storia inglese. La protagonista infatti viaggia nel tempo, con tutti i pericoli e le possibili ripercussioni a cui il tema ci ha ampiamente abituato. La trilogia risulta molto più femminile rispetto al primo volume della Roth, sia nella scrittura che nell’approccio narrativo, ma l’ottima cura nella costruzione dell’intreccio e nella ricerca storica ne fanno un prodotto di buona qualità. Un po’ troppo discorsivo forse ma sempre molto piacevole da leggere.

 

 

Di mamma ce n’è più d’una di Loredana Lipperini

Per concludere questo excursus letterario ecco un saggio, il primo che abbia mai finito di leggere e di cui non riesco a trattenermi di parlare da giorni con chi ha la sfortuna di capitarmi sotto tiro. Si tratta di un’analisi dettagliata e approfondita sulla situazione della donna italiana negli anni zero e dieci, con riferimenti continui alla situazione femminile in Europa e Stati Uniti e un occhio di riguardo ai fenomeni web, vere cartine tornasole dell’evoluzione del pensiero sociale. La mia copia è piena di orecchie e sottolineature e penso potrei parlare dei singoli capitoli per giorni. Consiglio di leggerlo per capire le dinamiche che si instaurano nella nostra società, la guerra non sempre silenziosa tra le donne, la ricerca di modelli di riferimento, lo spaesamento della donna e della madre di oggi lasciate sole dalla società in balia di giudizi, pregiudizi e informazioni così numerose e contraddittorie da risultare spaventose. L’assunto dell’autrice, che condivido pienamente, è che la femminilità e la maternità si esprimono in maniera talmente personale e unica che invece di accapigliarsi per decidere quale debba essere il modello giusto bisogna imparare a rispettare e tutelare le diversità di ciascuna donna. Se poi si riuscisse a scardinare l’idea dominante della madre come unica depositaria della salvezza della prole (e per estensione del mondo) sarebbe ancora meglio. Basta con l’equazione maternità uguale sacrificio. Basta con la guerra tra natura e scienza. Sì a una genitorialità condivisa e all’equilibrio tra antico e moderno.

 

 

Conclusioni

Probabilmente la Lipperini è la scrittrice più vicina alla fantascienza tra quelle di cui ho parlato in questo post. Ma a noi ragazze piacciono le sfide, siamo pronte a lottare per le nostre idee, per il nostro senso di giustizia e per le persone che amiamo. Quindi armiamoci di coraggio e intelligenza e scardiniamo i luoghi comuni della nostra società, così come fanno le eroine imperfette che lottano contro sistemi sociali crudeli, ma mai subdoli come il nostro.