Dido di sottofondo, penombra, stesa a letto, sola. Ricreo le condizioni miglori per cullare la malinconia di questa giornata. Ho finito di leggere “Emma”, ho giocato con il cellulare, ho zompettato per casa sulle mie stampelle fiammanti. E mentre gli altri affrontano l’afa che immagino dietro i vetri del velux, io cerco di farmi una ragione di questo riposo forzato, di questa inattività che non mi appartiene. Un passo alla volta, le mani già arrossate, un dolore che si palesa ogni tanto. E le cento cose che vorrei fare si perdono nel tempo che scorre. E tutto per un’infradito che si rompe, un gradino di troppo, l’asfalto che amplifica il colpo. Un gran male. Ma adesso ne è rimasto solo il timore e io vorrei tornare alla mia quotidianità, a tutte le attività che tengo in piedi come un giocoliere ormai annoiato. La fatica fisica prende anche la mente e non sono capace di concentrazione…
Ecco, il disco è finito e per mettere su il prossimo devo pianificare le mie mosse come un giocatore di scacchi.
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