Mercurio di Amélie Nothomb

Una delle mie autrici preferite è senza dubbio Amélie Nothomb, scrittrice belga nata a Kobe, in Giappone, legata in Italia alla casa editrice Voland. La sua produzione letteraria è fatta di densi romanzi brevi, di solito poco più di cento pagine, nei quali riesce a infondere uno spirito ironico e fulmineo, oltre che straordinariamente colto.

Una delle caratteristiche di questa autrice è il suo rapporto con la scrittura: spesso è protagonista o personaggio dei suoi romanzi, e in ogni caso i suoi fedelissimi sanno sempre riconoscere un dettaglio che la contraddistingue all’interno dell’opera in maniera inequivocabile.

Negli anni, romanzo dopo romanzo, Nothomb ha saputo creare una mitologia di se stessa, è diventata oggetto di un culto letterario, rafforzato dalla sua immagine iconica ma soprattutto dalla potenza della sua scrittura.

Mercurio è uscito in Francia nel 1998, la prima edizione italiana con Voland è del 1999, eppure io l’ho letto solo poco tempo fa, vittima di un equivoco: avevo comprato infatti anni fa un adattamento teatrale pensando che fosse il romanzo originale e lo avevo messo da parte perché non era la scrittura che cercavo. L’errore è emerso in una appassionata conversazione intorno all’opera della Nothomb e subito ho dovuto ordinarne una copia. La persona con cui conversavo affermava con assoluta sicurezza che questo sia il suo romanzo migliore e dovevo sapere se anche per me era così.

Nella mia esperienza di lettura, ho notato che i romanzi di Nothomb si dividono in due filoni principali: quelli autobiografici (Stupore e tremori, Metafisica dei tubi, La nostalgia felice, Né di Eva né di Adamo) e quelli più narrativi, spesso legati a una forte matrice letteraria, dalla cultura classica alle favole alla letteratura francese e italiana.

Mercurio appartiene al secondo filone e ci racconta la storia di una ragazza, Hazel, prigioniera in un’isola come pupilla del Capitano, un vecchio uomo che l’ha salvata da un bombardamento e per cinque anni l’ha tenuta nella sua dimora senza superfici riflettenti perché non possa mai vedere il suo volto. Hazel è infatti convinta di essere rimasta sfigurata e riconoscenza e ammirazione si mescolano alla repulsione nel suo rapporto con il Capitano. L’equilibrio viene rotto dall’arrivo di una giovane infermiera, Françoise, che stringerà un forte legame di amicizia con la giovane ragazza e cercherà di ripristinare la giustizia.

Mercurio: romanzo (a sinistra) e adattamento teatrale (a destra)

Come spesso accade nei romanzi di Nothomb, la storia si basa su incredibili dialoghi che ci svelano i caratteri dei protagonisti e sono il lancio per le azioni fulminee che continuamente muovono la storia. È un incredibile piacere leggere queste pagine scarnificate, dove ogni parola ha un peso e una collocazione specifica, senza alcuna sbavatura. Nothomb è inflessibile, pirotecnica nella lingua e nel pensiero, scandalizza e seduce a ogni passaggio mantenendo una grazia e una leggerezza nipponiche. Forse è questa perfetta commistione di passionalità europea e algida giapponesità a renderla così unica, o l’ossessione per certi dettagli, come il significato dei nomi e il loro influsso sul destino di chi li porta (I nomi epiceni) e la passione per lo champagne (uno dei protagonisti insieme a lei e un’altra scrittrice del romanzo Petronille).

Quello che affascina però, oltre alla perfezione della lingua, è l’analisi dei rapporti tra i personaggi, la brutale schiettezza o la melliflua crudeltà, l’innocenza colpevole, la mostruosità premurosa. Nothomb si diverte a scombinare i paradigmi, non esistono clichè tra le sue righe, tutto è analisi e controllo assoluto. Orrore, di fronte al destino e alla crudeltà umana, ma mai un cedimento pietoso, una svenevolezza. È una lama che trafigge senza sbavature.

In Mercurio ho amato le continue citazioni letterarie: La certosa di Parma di Stendhal, Il conte di Montecristo, Zio Vanja di Cechov, Carmilla, Le mille e una notte e molti altri si inseriscono in un dialogo letterario tra le due donne protagoniste, che si confrontano e si scontrano sull’interpretazione di certi passaggi, in maniera sempre funzionale al procedere della narrazione. Non è un vezzo della scrittrice, quanto un’emanazione della sua cultura.

L’unica cosa che non ho pienamente apprezzato è il doppio finale. È la stessa Nothomb a intervenire con una nota (come per rimarcare comunque la sua presenza all’interno anche di questa opera) in cui spiega che non ha saputo scegliere tra i due diversi scioglimenti. Io preferisco il primo a oggi, ma nulla vieta che domani possa preferire l’altro.

Mercurio di Amélie Nothomb, edizioni Voland.

Antichrista di Amelie Nothomb – il fascino del narcisismo

Antichrista di Amelie Nothomb – il fascino del narcisismo

antichrista

Christa è bella? Blanche se lo chiede.

La sua “migliore amica” è riuscita a sedurre tutti quelli che conosce con la grazia dei suoi sedici anni ma solo a lei è permesso di scorgere il suo vero volto: Antichrista.

Un romanzo breve e raffinato, come la Nothomb ci ha abituati, in cui il grottesco si insinua perfidamente nella vita di tutti i giorni, facendoci urlare di indignazione.

Un ritratto lucido dell’adolescenza, dei suoi meccanismi mentali, dei rapporti di forza e di amicizia, del percorso tortuoso che una giovane mente deve seguire per emanciparsi e riconoscersi.

Blanche e Christa, due ragazze agli opposti che per un gioco di sguardi si scelgono, in un’amicizia che è più un tentativo di sopraffazione, di definizione del sè a scapito dell’altra.

Chi vincerà in questo duello giocato sul filo dell’ironia e del sarcasmo? Non vi resta che leggere e lasciarvi stupire dal finale, ancora una volta.

 

Letture interrotte

alice stecchitaIn queste settimane non sto leggendo.

O meglio, inizio molti romanzi e li abbandono dopo poche pagine. Sarà colpa loro? Sarò io troppo stanca? Di certo il tempo non abbonda, ma questo non è mai stato un problema. Se un libro mi affascina posso leggerlo mentre faccio colazione, in bagno, asciugandomi i capelli – sotto la doccia no, per ora.

Ho iniziato “Il postino suona sempre due volte” di James Cain, abbandonato a metà. Libro passionale e drammatico, poco nelle mie corde.

Ho iniziato “La nostalgia felice” di Amelie Nothomb, interrotto al primo capitolo e in attesa di essere ripreso in mano.

Ho iniziato un giallo di Simenon, antidoto alla stanchezza, mollato pure quello.

Ho iniziato “Vuoi star zitta per favore?” di Carver e sto faticosamente leggendolo, un racconto alla volta, ognuno un peso in più sul cuore.

Ho iniziato una serie di saggi su un argomento che mi sta a cuore, traditi pure loro.

Una moltitudine di segnalibri delle più varie origini e forme spunta minacciosa dalla trincea dei libri da leggere, avanza e invade i vari scaffali, piazzandosi in prima fila e reclamando la mia attenzione.

Io mi siedo sul divano e guardo una puntata di Lie to me, gelato e cucchiaio in mano.

Verranno tempi migliori. Forse.

Dizionario dei nomi propri di Amèlie Nothomb – l’influenza del nome sul proprio destino

fiori freschi vs fiori finti

Il profumo dei gelsomini appena sbocciati ha accompagnato la lettura di questo breve romanzo. La loro grazia e bellezza ben si accorda alla figura di Plectrude, occhi da ballerina e mente tenace che affronta un destino spesso tragico e sublime.

Le circostanze della nascita di Plectrude sono assai singolari, quasi quanto il suo nome, fortemente voluto dalla madre. Perchè in un nome si cela il destino di una persona: i suoni, le dissonanze, la particolarità possono esaltare o affossare una persona, sottolineandone le caratteristiche. Amélie lo sa e pone sempre grande attenzione nella scelta dei nomi dei suoi personaggi. E non lo facciamo anche noi quando giunge il momento di scegliere il nome di un figlio? La nostra eroina è bellissima, come la protagonista di una favola, e quasi una favola sembra questa narrazione, se non fosse per gli incisi dell’autrice che ci riportano bruscamente alla realtà, interrompendo l’incanto. Seguiamo le sue avventure di bambina prima e di adolescente poi, ammirati dalla grandezza delle sue qualità e dei suoi difetti.

La danza, il cibo, la madre, la morte, l’amore, Amèlie Nothomb. Questi i temi principali del romanzo. Non ci sono refusi, sono proprio gli argomenti principe di qualsiasi romanzo della scrittrice belga. Le immagini che riesce a creare, il rovesciamento dei luoghi comuni, danno un sapore particolare alla lettura.

Eppure non è uno dei migliori libri della Nothomb, forse per la poca unitarietà del racconto, diviso in più scene che si concludono bruscamente, spesso in maniera surreale. C’è forse troppo compiacimento in questo romanzo, un manierismo che stanca senza affascinare del tutto. Il gioco che conduce la mia scrittrice preferita è sempre molto pericoloso e rischia più volte di far crollare la sua meravigliosa cattedrale, oggi costruita su fondamenta di argilla, invece che farle spiccare il volo. Tuttavia il fascino della lettura è superiore a qualsiasi dissonanza e le pagine scorrono veloci, fino alla conclusione. Totalmente inattesa.

Dizionario dei nomi propri (Robert des noms porpres) di Amélie Nothomb (2002), traduzione di Monica Capuani, edizione Voland, pagg 148